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E adesso, presidente, per favore se ne vada

Per via politica e/o referendaria, si sa, tutti i tentativi di modificare il ruolo del presidente della Repubblica sono falliti, a partire da Craxi fino ad arrivare a Renzi passando per Berlusconi. Strizzare l’occhio al presidenzialismo alla francese o addirittura a quello all’americana è sempre stato controproducente, per non dire pericoloso. Ma il fatto – indubitabile – è che una mutazione lamassima carica dello Stato la sta avendo comunque, e in modo tutto italiano. Nella Costituzione repubblicana l’inquilino del Quirinale riempie il vuoto lasciato dal monarca  anche questa è cosa nota – con la differenza che il mandato del primo è sempre stato a tempo: sette anni e via. In passato alcuni presidenti manifestarono il desiderio di farsi rieleggere per un secondo mandato – a mia memoria posso citare Pertini e Scalfaro – perché avevano trovato particolarmente congeniale quel ruolo al loro modo di essere protagonisti ed erano caduti nella tentazione di sentirlo ormai come se fosse un po’ cosa propria. Chi avrebbe biasimato il Parlamento se almeno a Pertini – almeno a lui, uno dei padri della Repubblica – fosse stata concessa un’eccezione? Tuttavia sempre prevalse quella coscienza brutiano-collatiniana, tipica delle repubbliche nate dalle ceneri di tirannie, che spingeva ad attuare il ricambio puntuale nelle cariche come una legge morale non scritta dello Stato, oltre che come garanzia della sua sicurezza. 

Gianluca Vivacqua

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