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L’alba della XIX legislatura

Caduto il governo Draghi e indette da Mattarella le elezioni anticipate, è partita la campagna elettorale e quindi la corsa per le qualifiche dei vari partiti in vista del Gran Premio delle Urne del 25 settembre. Esploriamo gli schieramenti.

Rinunciare al proprio protagonismo? Alla Calenda greca!

Se Renzi, come è stato detto varie volte, è il figlio che Berlusconi avrebbe voluto avere, probabilmente Calenda è il fratello che a Renzi sarebbe piaciuto. Ai tempi del suo primo gabinetto fu Renzi a consacrare definitivamente Calenda come uomo di governo prima confermandolo nell’incarico di viceministro dello sviluppo economico (incarico a  cui l’aveva chiamato Letta) con una fondamentale aggiunta, la delega al commercio estero, e poi riservandogli la guida di quello stesso ministero. In mezzo, un’esperienza che il premier fiorentino gli cucì su misura sfidando parecchi protocolli: rappresentante permanente dell’Italia presso l’Ue, anticamera del suo mandato come europarlamentare. Da ministro dello Sviluppo economico Calenda rimase anche nel governo che succedette a quello di Renzi, guidato da Gentiloni.

Uomo vocazionalmente senza partiti e fuori dai partiti, Calenda nel 2018 si accosta a un Pd ancora sostanzialmente renziano. Salvo poi uscirne, qualche tempo dopo lo stesso ex premier, per i medesimi motivi di quest’’ultimo: l’avvicinamento politico del partito al M5S. E approdare alla stessa soluzione: fondare un proprio partito, al centro. Ora Italia Viva, il movimento di Renzi, e Azione (senza ciak), quello di Calenda, si ritrovano nello stesso schieramento elettorale, a sostenere un ritorno di Draghi alla guida dell’esecutivo.

A essi si affianca in questa intenzione, e sempre al centro, la truppa dei seguaci di Di Maio, Insieme per il Futuro.

Appare strano però come questo centro dei draghiani sia anche il centro dei protagonisti, di coloro cioè che si sono resi artefici di scissioni e di fuoriuscite eccellenti dai loro partiti per crearsi i propri partiti, e averne la proprietà incontrastata. Renzi, Calenda, Di Maio: tutti aspiranti premier che, però, giurano di voler reinsediare il re che ha appena abdicato.

5 Stelle declassato

Ma al centro c’è anche il Movimento 5 Stelle,  e con un orientamento del tutto opposto, cioè anti-draghiano. Il fragile vascelletto nelle mani di Conte non è più l’agguerrito drakar del 2013, che montava come rostro un apriscatole per il Parlamento: e rischia seriamente di non reggere ai marosi delle urne. In fondo il M5S ha avuto l’Italia in mano per ben due legislature, e ora la ruota ha ripreso a girare.

Gianluca Vivacqua

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