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“Da grande voglio diventare un calciatore”: il calcio e i ragazzi, tra aspirazione collettiva ed educazione al vivere sociale

Il calcio: a un tempo metafora e specchio dei nostri tempi. Passare, sopra il rettangolo verde, dai valori dello sport a quelli di una società super-competitiva è un attimo: eppure per i nostri ragazzi il richiamo del pallone e delle scarpette bullonate è sempre fortissimo. “Da grande voglio diventare un calciatore”: un desiderio che continua a essere in cima alla hit parade delle loro aspirazioni. Ma ben venga il calcio, perché no, a patto che infonda in essi la cultura sportiva e li appassioni al gusto di prendere una posizione su questioni e argomenti, compensando così in una certa misura le mancanze di una scuola che, non solo per sua colpa,  li rende sempre più apatici. Mal venga, invece, quando diventa motivo di emulazione di comportamenti indegni, che i più fragili o i più influenzabili riterrebbero si possano trapiantare persino a scuola. C’è veramente qualcuno capace di farsi irretire dal fascino malsano, maledetto, del tifoso terrorista, che innesca la guerriglia urbana e spesso non si fa scrupolo a perpetrare stragi? Purtroppo sì. E mamma e papà che fanno? Spesso, inconsapevolmente, sono loro a compiere il primo passo che porta i figli all’accettazione di certi modelli e comportamenti. Come si sanziona un genitore che dagli spalti, durante la partita del figlio, incita quest’ultimo a non avere rispetto degli avversari? Ci vorrebbe un arbitro che alzi il cartellino rosso.

Maria Simona Gabriele

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