Non aprite quella porta: un massacro lungo cinquant’anni
Chiunque riveda, al ritorno nei cinema per il suo cinquantenario, l’intramontabile Non aprite quella porta (The Texas Chainsaw Massacre) deve fare i conti con un semplice fatto: non siamo mai usciti dall’ombra del capolavoro di Tobe Hooper, dopo cinque decade restiamo vittime della famiglia Sawyer come di un evento filmico debordante, di quelli che sfigurano il cinema una volta e per sempre.
Non è forse immediata per tutti la portata dell’assalto frontale che il regista texano, in quella maledetta torrida estate del ’74, sta muovendo nei confronti dell’apparato-cinema. Non aprite quella porta riuscì a fare, per l’horror, quel che due anni prima Il braccio violento della legge di William Friedkin aveva fatto per il poliziesco, nonché quel che tre anni dopo Guerre Stellari di George Lucas avrebbe fatto per la fantascienza: forsennare il proprio genere – in questo caso l’orrore – secondo le coordinate di un meticoloso realismo pseudo-documentario, trascinare lo spettatore nelle viscere della narrazione popolare con una potenza immersiva nuova, deflagrante, di quelle da cui non si torna indietro.
Fabio Cassano
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