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attualità

Il declino della sanità pubblica in Calabria

Profonda sembra essere la crisi della sanità pubblica calabrese, che appare ancor più in declino dopo gli anni difficili del Covid. È evidente come il cittadino, facendo esperienza delle strutture sanitarie, quasi sempre ne esca scontento, dopo aver toccato con mano quanto può essere difficile ricevere un servizio assistenziale adeguato.  Le condizioni in cui versa la Calabria su questo fronte non fanno ben sperare.  Volendo ampliare gli orizzonti e parlando del Meridione in generale, poi, vediamo come  le recenti statistiche ci mostrano che è proprio in quest’area che  la percentuale di persone che rinunciano a curarsi perché non possono permetterselo è più alta. Anni e anni di cattiva gestione politica (che della virtù dovrebbe rivestirsi come disse Aristotele) sembrano aver aumentato il malessere ovunque,  ma il fondo lo si tocca proprio laddove invece efficienza e alta qualità delle prestazioni dovrebbero essere la priorità assoluta, e cioè la tutela e i diritti della salute dei cittadini.  Anziani con paghe al minimo della dignità e spesso soli, o famiglie svantaggiate, sembrano vivere uno stato di abbandono, costretti come sono ai tempi biblici della Calabria dalle file interminabili. Precariato per i giovani e affossamento della meritocrazia, anche nel settore sanitario: questi i frutti più riusciti di tanta politica in Calabria come al sud.

La realtà della nostra regione – non lo scopriamo qui noi – mostra una drammatica spaccatura: da una parte una sanità privata attiva,  con tutti i servizi ben funzionanti a disposizione del cittadino (ben) pagante,  dell’altra una sanità completamente fatiscente per chi può solo affidarsi al servizio sanitario pubblico. Che è una valle di lacrime, da tutti i punti di vista: si va dalla carenza degli ospedali stessi alla mancanza di fondi per l’assistenza delle persone non autosufficienti.  A tutto questo – facile dirlo ma forse anche inutile – ci sarebbe un rimedio: una gestione trasparente e che punti alla qualità, a  investire e a non fare tagli, e quindi a non produrre contratti che non saranno rinnovati e che genereranno solo  carenza di personale medico e paramedico, e a non sperperare risorse per corsi di formazione regionali che non daranno sbocchi lavorativi. Occorre precisare che  Il problema della Calabria non è la mancanza di programmazione, ma la sua attuazione (disastrosa) da parte della politica.

Che da sempre è stata pessima cocchiera di un carro pieno di  tesori: ambientali, culturali, gastronomici. Probabilmente abbiamo i dirigenti che ci meritiamo, ma almeno ribelliamoci un po’ – ogni tanto – per sopravvivere. Vorremmo morire in Calabria, non morire di Calabria.

Maria Simona Gabriele

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