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politica

Lega: l’avvento di Vannacci

Vannacci è il vero leghista salviniano, il primo militante leghista creato direttamente in laboratorio dal dott. Salvinenstein. Cooptato nel partito verde da un segretario affascinato dal suo Mondo al contrario e dalle tesi “raddrizzamentiste” formulate in esso, il generale il 6 aprile ha smesso di essere un indipendente gravitante nell’orbita della Lega ed è diventato finalmente un tesserato.

La creatura si ribellerà al creatore? A Salvini verrà imputato, in futuro, di aver spregiudicatamente aperto il partito ai militari? Che abbia in testa l’idea di un ticket, in base al quale Vannacci potrebbe andare a breve alla guida del partito e Salvini sarebbe libero di dedicarsi anima e corpo alla scalata al Viminale? C’è sempre un prezzo da pagare per arrivare (o per tornare) al grande traguardo politico: l’ultima volta fu il matrimonio con i Cinquestelle, che poi proprio Salvini per la troppa ambizione fece naufragare. Da ministro dell’Interno puntava a diventare premier, invece, abbandonata la barca, si ritrovò da un giorno all’altro semplicemente all’opposizione. Aveva fatto u ribaltone alla Bossi, ma con risultati ancora peggiori.

Se Salvini, dunque, vorrà sgravarsi dalle responsabilità direttive della Lega per inseguire i suoi sogni di gloria che Lega sarà quella consegnata a un Vannacci pronto a conquistare posizioni di sempre maggior potere? Uomini in divisa come alti dirigenti di partito in Italia li abbiamo visti nell’MSI (Borghese e Graziani, presidenti) e nel Partito Monarchico (Covelli, presidente e segretario). Si tratta di partiti intrinsecamente marziali, bellicisti dentro: il culto del militarismo ne era un carattere costitutivo. Ma la Lega non ha certo tradizioni di combattentismo o di revanscismo guerresco: in fondo nasce come movimento delle autonomie regionali che si proponeva di rimanere locale pur entrando nei gangli vitali della politica nazionale. Puntava certamente a dar voce a una protesta forte e anche violenta contro Roma da parte dei contadini, degli artigiani, degli industriali e dei professionisti del profondo Nord, ma di sicuro non con fucili, pistole, mitragliatrici e bombe: al massimo era contemplato qualche folcloristico forcone. Una forza finto-insurrezionalista che, entrata in Parlamento, nella stanza dei bottoni, divenne prima “guastafestista” – servendo da modello nientemeno che alla Rifondazione comunista bertinottiana, traino alla vittoria del suo schieramento e poi killer dello stesso – e in seguito ancillare, avendo ben cura però di ottenere garanzie circa il consolidamento dei suoi feudi in Italia settentrionale: era la Lega di Bossi, romantica, ruspante, ribelle, pacchianamente spartachiana. Poco a che vedere con la Lega patriottico-nazionalista di Salvini.

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