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Crimes of the future

Si era ormai giunti a disperare di un nuovo film di David Cronenberg: l’ultima fatica del regista canadese cade otto anni dopo il controverso Maps to the Stars, nello scetticismo verso un possibile ritorno non tanto a ipotetici vecchi fasti, quanto a un’immersione piena nei temi e nell’immaginario del regista di Videodrome. Banalmente pareva si fosse detto tutto e, d’altronde, la realtà sembra aver già assimilato fin troppo le elucubrazioni del maestro: trans-umanesimo, post-umanesimo, neo-liberazioni sessuali e disumanizzazione paiono temi ormai poco avveniristici, materia di dibattiti e nuovi stigmi dentro e fuori della Rete.

È dunque un sollievo non avere sollievo alcuno: Crimes of the Future atterra a Cannes come un oggetto alieno, con annesse fughe di spettatori oltraggiati; Cronenberg è tornato e non è in vena di compiacenze. Sebbene il titolo faccia pensare a un remake (magari del vecchio Crimes of the Future del 1970), il film è in realtà lo stadio finale di un progetto lungamente accudito, quel Painkillers che aleggiava come spettro inquieto nella galassia Cronenberg. Lontano dalla natìa Toronto in una Grecia – allora come oggi – di squisite rovine, il regista si reimmerge con immensa furia concettuale nell’universo delle sue e nostre ossessioni; non è più tempo di riallacciarvisi tangenzialmente, bensì di riappropriarsene di forza in un mondo di epigoni più o meno ignari.

Fabio Cassano

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