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Emergenza idrica: il caso Messina 

Colloquio con Paolo Ullo

La città calcidese amata da Montorsoli, che ha l’acqua come suo orizzonte naturale e in Nettuno (il Nettuno di Montorsoli, appunto) uno dei suoi simboli artistici è condannata da un ingrato destino a un approvvigionamento idrico travagliatissimo. A ridurla alla sete un acquedotto che è ormai più un bene culturale che un’opera di pubblica utilità. Paolo Ullo, idrologo peloritano e “messinologo”, studia da anni i problemi relativi al rifornimento idrico nella città dello Stretto. Su carenze e disservizi relativi a questo delicato fronte non ha mai smesso, con spirito catoniano, di alzare la sua voce critica.  

Dott. Ullo, l’emergenza idrica a Messina secondo lei è un combinato disposto tra nuove condizioni climatiche e pessima gestione delle infrastrutture idrauliche? 

Non ci sono dubbi, un quadro generale tendente a un clima sempre più torrido e siccitoso fa la sua consistente parte, ma qui abbiamo un problema strutturale, sistemico. Abbiamo un acquedotto civico costruito in fretta tra il 1901 e il 1905 – la fretta di dare alla città una degna copertura idrica – e che ha incorporato una minima parte delle sorgenti dei Monti Peloritani. Questo crea un problema di distribuzione, evidente e drammatico, con l’Amam (l’azienda per la fornitura di acqua a Messina, ndrcostretta a inseguire la città costruita oltre la quota 110 del serbatoio Gonzaga (il più elevato, sopra Montepiselli, ndr). 

Gianluca Vivacqua

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