musica

Peppe Voltarelli – La grande corsa verso Lupionòpolis (Visage Music)

Peppe Voltarelli, giramondo, uomo di mare e di migrazione, fa del suo canto-dialetto un concetto tribale ma globale, avvincente e intrigante a un tempo, capace di mescolare speranza, folk e poesia. Lupionòpolis è la sua nuova direzione, oltreoceano, nel sud del mondo; brasiliana, meta e ideale di una lingua e di una musica unificanti. E nella sua forma canzone viscerale, capace di ammaliare e coinvolgere, trova lo strumento per mantenere la rotta. Otto anni dopo, discostandosi dai suoi lavori precedenti (Voltarelli canta Profazio e Planetario), con nel mezzo tre targhe Tenco e un Premio Loano, tra i più importanti premi dedicati alla musica d’autore e tradizionale, il poliedrico artista calabrese (scrittore, cantautore, attore) parte verso un percorso internazionale, accompagnato da incredibili firme, sia per l’arrangiamento (Simone Giuliani) sia per il suono (Mark Urselli), e intinge la sua penna nell’intreccio di vite, e di storie, della Grande Mela. New York: incrocio di migranti, mare e sogni. Evocativo battito di world music è quel Mareniro,  crocevia che mescola, in un gioco di scrittura-prosa quasi onomatopeico, gli orizzonti e la speranza, l’approdo e l’abbandono. Esplosione di quelle radici così ferventi e dialettali, che si snodano  attraverso ritmi ironici, teatrali e furbeschi, è Nun signu sulu mai. Voltarelli è attoriale, voce di dentro, di un popolo, come di un teatro. La frivolezza, la leggiadria dei ritmi jazz di Spremuta di limon ci riportano agli anni ‘50, al bianco e nero, a qualcosa di antico e cinematografico, con Buscaglione sulle dita e un bicchiere sul piano. Sfacciataggine folk, ma anche popolare, nella “burlona” Mozza, scrittura che narra, si fa scena, come in un proscenio comico nei locali fumosi americani. È devozione, e ammirazione, elegantemente e giocosamente perfetta, Bon Bon, a mezz’aria come un brano di Conte o dell’indimenticabile Leo Chiosso. Quella corsa, quell’affanno, tra fiato e futuro, lavoro e miraggi, è la piccola Lupionòpolis, piccola Macondo o Valparaíso, immaginaria e poetica, personale e intima, del viaggiator andante Voltarelli. Malinconica, manouche, gitana, tra mille fisarmoniche che, come ponti che si allungano tra terra di Calabria e i sud del mondo, ci riportano a una visione della scrittura meravigliosamente arcaica, quasi contadina, dove la lingua calabrese, è porosa nella sua musicale artigianalità  ma anche borderline, e viaggia nei suoi ritmi sanguigni, alla conquista di nuovi continenti, tra poesia e teatralità. Un simposio, tra versi e tradizione, radici e folk, che pone il già celebre Voltarelli quale nesso di assoluto  spessore tra due mondi artistici correlati: il jazz  popolare e la  narrazione pura e impavida.

Sergio Cimmino

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