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interviste

Il parere di uno scrittore di genere: Daniele Fontani

Ho conosciuto Daniele Fontani grazie a un’antologia in cui io sono presente assieme a un suo racconto. È stato lui ad aggiungermi su Facebook, poi a scrivermi dopo che aveva posto una domanda tecnica per un testo di spionaggio, da cosa è nata cosa e mi sono incuriosito sulla sua attività di scrittore, fintanto da scoprire che ci incrociammo più di una volta ma senza averci dato retta reciprocamente. Lo prometto, riparerò, e nel frattempo l’ho intervistato.

Modestia o arroganza, quale scegliere?


Credo che raramente l’arroganza sia frutto di una scelta razionale, ma piuttosto un modo inconsapevole di essere, amplificato dalle ambizioni e dalla voglia di affermarsi. Anche la modestia, quando è artificiale o quando sminuisce i propri meriti, rischia di diventare un atteggiamento negativo. Tra modestia e arroganza, però, preferisco la terza alternativa: la via dell’umiltà, imparare a riconoscere i propri limiti e accettare che è sempre possibile lavorare per migliorarsi. Fatto questo, credo che poi venga naturale rapportarsi agli altri con sincera modestia, senza creare false aspettative, né cercare di sminuire gli altri.


La tua finale Mondadori preferita (fra quelle in cui sei presente)?


Più che alle finali in sé sono molto legato alle manifestazioni all’interno delle quali si svolgono i premi letterari. Ognuna mi ha dato qualcosa di unico: le persone conosciute, i consigli ricevuti dagli scrittori più bravi, le emozioni e gli attimi prima dell’annuncio del vincitore (che generalmente non sono io, ma questo non è fondamentale…). Quindi questa domanda mi mette un po’ in difficoltà, perché le metto tutte sullo stesso piano. Forse, dovendone scegliere una, direi il Mystfest del 2021, quando per la prima volta sono
riuscito ad arrivare in finale nel circuito Mondadori e ho visto da vicino tantissimi scrittori che fino ad allora per me erano entità lontanissime, quasi divine. Poi c’è anche il Festival del Giallo di Napoli, dove nel 2023 ho vinto con il racconto La forca, e dove si respira un’atmosfera davvero unica. E che dire del NeRoma? Insomma, è davvero difficile scegliere.

Secondo te ha senso scrivere (racconti, romanzi…) in Italia e in un’epoca in cui la gente si fa problemi a comporre una mail con nel corpo del testo solo: “Ciao, come va”?

Secondo me ha senso scrivere fintanto che c’è la possibilità, anche remota, che ciò che si produce sia interessante per qualcuno. Come autori, dovremmo lavorare prima di tutto per costruire storie capaci di regalare emozioni ai lettori, qualunque esse siano. Quindi direi che finché ci sono lettori vale la pena scrivere, non ne faccio una questione di numero. Sul cosa scrivere, sono un po’ combattuto: da un lato assecondare la tendenza del pubblico può portare a una produzione di testi scontati, l’uno uguale all’altro,
mentre disinteressarsi dei gusti e delle esigenze del lettore rischia di rendere la scrittura di nicchia, e questo mi spaventa molto perché abbiamo tutti bisogno di leggere. Io ho la fortuna di potermi occupare di narrativa di genere dove si può mescolare intrattenimento e temi di denuncia, e lo considero un ottimo compromesso per andare incontro alle esigenze di svago dei lettori pur mantenendo un significato più profondo al gesto stesso di leggere.

Kenji Albani

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