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  • Ungheria, nuove modifiche costituzionali: 15 emendamenti in meno di 10 anni

    Ungheria, nuove modifiche costituzionali: 15 emendamenti in meno di 10 anni

    Nel caso in cui a qualcuno sia sfuggito il generale declino dell’ordine liberale e lo svilimento dei diritti umani a livello mondiale, il partito di destra guidato da Orbán in Ungheria si è recentemente mosso in una direzione inequivocabile.
    Il 14 aprile, infatti, l’Assemblea nazionale ungherese ha approvato a maggioranza una nuova modifica della Costituzione che comporta restrizioni sempre maggiori ai diritti civili, con particolare riguardo alla comunità LGBTQ+.

    Le strette “illiberali” nell’Ungheria di Orbán non sono una novità: molti sono stati nel corso di questi ultimi anni gli emendamenti alla Costituzione, (dal 2012 ad oggi sono state circa 15 le modifiche). Ma non solo.
    Il 18 marzo, per esempio, sono state approvate modifiche ad una legge del 2018 che regola il diritto di riunione e manifestazione nel Paese. La “furbizia” che ha scatenato le proteste e il risentimento di gran parte della popolazione, risiede nell’ordine “cronologico” con cui queste nuove modifiche alla Costituzione sono state apportate. Infatti, molti sostengono che gli emendamenti recenti non negano “esplicitamente” il riconoscimento dei diritti civili delle persone transgender e non è casuale.
    Il governo Orbàn ha opportunamente operato una stretta sulla libertà di manifestazione prima di procedere con la modifica della Costituzione che si articola sostanzialmente in due punti caldi: la legittimità del matrimonio valida solo fra uomo e donna perché “l’essere umano è uomo o donna” e, in secondo luogo, l’introduzione del concetto per cui la tutela dei bambini ha la precedenza su ogni altro diritto fondamentale, eccetto quello alla vita.
    Così facendo, con il primo emendamento si va a negare qualsiasi libertà di autodeterminazione di genere. Con la seconda modifica si va a creare una sorta di scudo normativo che, implicitamente, dietro la giustificazione della tutela dei minori, può andare a intaccare tutte quelle attività e libertà che il governo ritiene lesive del diritto del minore ad essere protetto. Nello specifico, molti hanno
    pensato al Pride che dovrebbe tenersi il 28 giugno nella capitale e che potrebbe fattivamente essere ostacolato da quanto stabilisce la Costituzione o meglio, da una interpretazione restrittiva della stessa.
    In effetti, si tratta di una manifestazione che (al pari di altre) le autorità possono vietare nella misura in cui si possa ragionevolmente presumere che arrecherà danno ai minori.
    Altro strumento di “repressione autoritaria” è l’introduzione di tecnologie di riconoscimento facciale da parte delle forze dell’ordine nei confronti dei partecipanti a raduni, riunioni e manifestazioni.
    A riprova della gravità dello stato di salute della democrazia ungherese, vi sono poi le preoccupazioni intorno alla paventata “sospensione della cittadinanza” (che è effettivamente il primo punto dell’emendamento) agli ungheresi che abbiano altri passaporti e che, a detta del governo, possono rappresentare quindi una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico. Il rischio concreto è che si “abusi” di questa misura per reprimere il dissenso politico e fare gioco al governo
    o agli amici del governo.
    In ogni caso, bisognerà attendere che queste misure entrino effettivamente in vigore per comprendere quanti e quali saranno gli effetti e le ripercussioni sulla realtà politica ungherese, nonostante l’indignazione della Comunità internazionale che accusa Orbán di violazione del diritto comunitario.

  • Luca Di Gialleonardo e i suoi gialli per ragazzi

    Luca Di Gialleonardo e i suoi gialli per ragazzi

    Luca Di Gialleonardo è un autore di gialli per ragazzi che abita a Roma dopo aver vissuto in numerose località del centro Italia. Classe ‘77, ha la sua storia, ma in questa intervista più che parlare della sua vita, si tratterà, almeno superficialmente (è un assaggio) di quello che scrive, delle sue storie, soprattutto i gialli per ragazzi che scrive per Gallucci Editore. Non sentitevi fuoriposto, leggendo l’intervista, prego.


    Luca Di Gialleonardo, scrittore a 360 gradi o 180 gradi (nel senso che scrivi pochi generi)?

    Bella domanda! Direi che non mi posso definire a 360 gradi, perché non scrivo tutti i generi letterari, ma ho coperto buona parte della circonferenza. Negli ultimi anni ho scritto maggiormente gialli, per adulti e ragazzi, ma in passato ho toccato anche il fantasy, la fantascienza, lo storico, l’horror. Chissà che non riesca prima o poi a completare il cerchio!

    Parlami de I Fuoriposto.

    I Fuoriposto è una serie di romanzi di genere giallo dedicata ai ragazzi dagli undici anni in su, sebbene siano adatti anche a lettori molto più giovani (ma anche più anziani!) La protagonista è Beba, una ragazza plusdotata che ha serie difficoltà non solo ad appassionarsi alla scuola, che la annoia a morte, ma anche a fare amicizia. Costretta dalla preside a lavorare al giornalino scolastico con Laura, una ragazza esuberante e piena di passione, imparerà cosa vuol dire fare squadra e ad avere un occhio diverso sul resto del genere umano. Insieme a Laura e Paolo (fratello di Laura) si troverà a indagare su diversi misteri, trovando finalmente qualcosa in grado di stimolare la sua mente sempre desiderosa di conoscenza. Nel primo romanzo della serie, La mummia scomparsa, dovranno scoprire come una teca che contiene una mummia egizia è finita nello scantinato di una clinica abbandonata in un paese di campagna. Indagheranno quindi su chi lascia dei “Dolcetti micidiali” (non solo in senso figurato) nei corridoi della scuola, per poi trascorrere le vacanze estive ne “Il campeggio della luna piena”, dove le cose spariscono e degli spiriti distruggono delle stanze in pochi istanti. Il 25 aprile uscirà il quarto romanzo della serie, “Lo scherzo è bello quando dura poco”, dove fra sfilate in costumi medievali e gare di tiro con l’arco storico, i protagonisti cercheranno di scoprire chi sta facendo degli scherzi davvero fastidiosi ad alcune persone della città.

    La tua giornata tipo (di scrittore) qual è?

    Non ho assolutamente una giornata tipo da scrittore. Avendo una famiglia impegnativa e un lavoro da portare avanti, non programmo mai il tempo per scrivere, ma cerco di approfittare al meglio del mio tempo libero, creandomelo a dovere quando necessario. Non sono lo scrittore che si vede nei film, che ha il suo angolo da dedicare alla scrittura, silenzioso, calmo, estremamente rilassante. Gran parte dei miei romanzi li ho scritti giorno dopo giorno su un treno, seduto tra migliaia di passeggeri e nel caos più totale. Se devo essere sincero, non credo che sarei in grado di scrivere in una mansarda, immerso in una dolce penombra, coccolato dal silenzio più totale. Sono un po’ come
    Beba, la protagonista de “I Fuoriposto”, amo il caos.

    Kenji Albani

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  • I nuovi gioielli di Pompei

    I nuovi gioielli di Pompei

    Ogni volta che una nuova scoperta viene annunciata sembra quasi di poter provare quell’emozione che dovette sentire chi, nel Settecento, trovò per la prima volta i resti di questa città – magica e maledetta insieme – che una tra le più grandi tragedie della storia ha cristallizzato con i suoi abitanti e la loro vita sospesa in un giorno del 79 d.C.: Pompei.
    E’ come uno scrigno che mai si esaurisce e che di tanto in tanto ci dona un nuovo gioiello, e sicuramente di recente questi doni sono stati a dir poco generosi.
    Perché se è vero che Pompei ci ha abituato a queste sorprese improvvise, bisogna pur dire che gli ultimi ritrovamenti sono stati spettacolari.
    Negli ultimi mesi, ad esempio, grazie a continue campagne di scavo a cui partecipano anche Università straniere come quella di Valencia che, appunto, è coinvolta nell’ultimo ritrovamento in ordine di tempo, sono venuti alla luce i resti di una nuova Villa con superbi affreschi – già ribattezzata come la seconda Villa dei Misteri – e due statue funebri a grandezza naturale che potrebbero ritrarre due sposi.
    La Villa, chiamata Casa del Tiaso, era composta da un grande edificio di cui è venuta alla luce una vasta sala – probabilmente una sala da pranzo – le cui pareti affrescate rappresentano fasi di iniziazione ai culti dionisiaci – da qui l’accostamento alla celebre Villa dei Misteri.
    L’affresco, in particolare, occupa tre pareti e raffigura una donna – colei che deve essere iniziata ai misteri – circondata da satiri, baccanti e danzatrici.
    Di notevole impatto visivo è poi il complesso scultoreo – un uomo e una donna, probabilmente una coppia di sposi – ritrovato presso la Necropoli di Porta Sarno.
    Le sculture facevano parte di un complesso funebre monumentale, il che legherebbe con ogni probabilità i due ad una famigli di alto rango e di larghe ricchezze.
    Le statue verranno sottoposte a breve a restauro per entrare a far parte della mostra “Essere donna nell’antica Pompei”.

    Dopo la scoperta di nuovi resti umani, che hanno raccontato nuovamente i loro ultimi tragici istanti, e di un thermopolium, che lascia stupiti per le sue pitture e l’impressione di “vita” che ancora porta con sé, i nuovi ritrovamenti confermano, se mai ve ne fosse bisogno, che Pompei è una città ancora tutta da scoprire e che non smette mai di raccontarci la sua storia, una storia stupenda e triste insieme, quanto mai reale, perché capace di riportarci con forza nella Roma più viva e autentica di duemila anni fa.

    Vittoria Caiazza

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  • Post Fata Resurgo -‘E capa ‘e core ‘e stommaco

    Post Fata Resurgo -‘E capa ‘e core ‘e stommaco

    Dello Sterminator Vesuvio fu cantore il gruppo operaio ‘E Zezi; di quella dannazione eterna, che lega alla propria terra in modo viscerale e morboso. Dannazione vesuviana, di una terra di lava, storia, folklore e madonne.

    Ma anche di resurrezioni: con “Post Fata Resurgo”, il risorgere nel post-mortem, scavallando la fatica, gli ostacoli e le barriere, Marsu e Torregrossa, tra masters of ceremonies e polistrumentismo, si fanno cantori di un ideale processo di coscienza intellettiva, elaborato attraverso una presa di posizione diretta e procace, in tempi frammentati e di idiozia massmediale, e trasmutato nel lavoro ‘e capa ‘e core ‘e stommaco, dove si esaminano le parti emozionali, razionali e ribelli dello stato umano. Guida “platonica” a un percorso sul filo, lungo una società sempre più alla deriva per cercare di recuperare gli ultimi residui di idee e sapienza. Una strada, quella dei due, che si inerpica verso un “iperuranio” moderno e denuncia le assurdità e le amenità del mondo di oggi, i suoi conflitti e le sue ingiustizie sociali, pur restando nei limiti di un messaggio artistico vibrante di atmosfere e rimandi (Totò, Viviani, La Famiglia, ma anche 99Posse, di cui si avverte la “presenza” in Tammurriata d’o precariato). Un album concettuale, di visione, che destruttura tanti luoghi comuni, e al contempo denuncia, come in Italiano!, o regala un rap prezioso, alto, e con finiture melodiche in ‘E Core. A distanza di cinque anni dal 2020, il duo rap-strumental sceglie di battere un confine molto labile, tra cultura e ideali, che ingloba capacità elettroniche, vicine alla popular music, e tinte rock ma anche cantautorali. Ottima l’intuizione di allargare la famiglia di sangue musicale stabiese con maestranze sapienti: parliamo di artisti come Giovanni Block, Brunella Selo, Marcello Coleman e Collettivo Vesuviano. I P.F.R. sono artisti di ampia scrittura, che dilatano il proprio linguaggio e messaggio oltre il semplicismo e la demagogia, e consentono al pubblico di trovare nel proprio lavoro un’importante chiave di lettura: la saggezza, la conoscenza e la temperanza, anche musicalmente, possono essere raggiunti cavalcando la strada delle proprie radici, l’importante è custodirle e difenderle in maniera attenta e premurosa.

    Sergio Cimmino

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  • Francesca Aiello: “Serie A, chi vuole lo scudetto?”

    Francesca Aiello: “Serie A, chi vuole lo scudetto?”

    Continua la corsa a due Inter-Napoli in testa al campionato di serie A: come finirà? Lo chiediamo a Francesca Aiello, opinionista sportiva già ospite sul nostro magazine. Tifo personale a parte… ma anche compreso! Sentiamo, inoltre, le sue previsioni circa la vittoria di Champions ed Europa League e le possibilità della Nazionale di calcio di qualificarsi ai prossimi mondiali.

    Francesca, Napoli o Inter: chi si aggiudicherà   lo scudetto 2024/25?

    Quest’anno è un campionato estremamente equilibrato. Lo vedo molto livellato in basso, sembra quasi che nessuno voglia vincerlo. Gli azzurri con un febbraio disastroso hanno buttato via tutto quello che di straordinario avevano fatto nel girone di andata, soprattutto le sette vittorie consecutive che avevano permesso loro di portarsi a +4 dalla seconda. Troppi sbagli invece contro il Como, Udinese e Venezia, e punti persi nei minuti di recupero con Lazio e Roma. Dal canto suo l’Inter, impegnata su tutti i fronti, ha fallito alcune partite fondamentali per dare il KO al campionato. Quest’annata per equilibrio e tasso tecnico la trovo simile a quella del primo anno di Spalletti, che vide alla fine trionfare il Milan di Pioli. Da tifosa del Napoli spero ancora nella vittoria finale, anche se molto (se non tutto) dipende da quello che farà l’Inter.

    L’arrivo di un tecnico vincente come Antonio Conte può permettere alla squadra azzurra di tornare a essere protagonista stabile ai vertici del calcio? Sempre ammesso, naturalmente, che il matrimonio tra De Laurentiis e Conte prosegua.

    Con Conte, uno degli allenatori più carismatici e vincenti d’Europa, il presidente De Laurentiis ha voluto dare un segnale forte, dopo il disastro della scorsa stagione. Finora il tecnico salentino non ha certo deluso le attese: il Napoli è già praticamente tornato in Champions e si sta giocando il titolo con l’Inter. Per come abbiamo imparato a conoscere Conte in questi anni, però, e conoscendo il carattere vulcanico del Presidente, sarà difficile vederlo a lungo sulla panchina partenopea… Speriamo resti almeno fino alla  fine del contratto triennale e che nel frattempo ci regali qualche grande trofeo! 

     Champions League ed Europa League: le favorite? Inter e Lazio che possibilità hanno? E cosa occorre perché il calcio italiano sia come Nazionale sia a livello di club possa tornare a svolgere un ruolo da protagonista?

    Per me la favorita per la vittoria finale di Champions League è il Barcellona, una vera macchina da gol. Occhio al Psg che è in uno stato di forma straordinario. L’Inter dopo la vittoria di Monaco di Baviera potrebbe arrivare in finale e a quel punto potrebbe succedere di tutto.

    Per quanto riguarda l’Europa League è davvero difficile fare un pronostico, con dei quarti di finale estremamente equilibrati. La Lazio deve recuperare il brutto 2-0 subito in casa del Bodo Glimt, e se riesce a capovolgere il risultato potrebbe anche provare ad arrivare in fondo. Per il resto, ripeto: è davvero difficile capire chi possa vincere.

    Il calcio italiano è in declino da diversi anni. Per tornare ai fasti che furono si dovrebbe investire di più nei settori giovanili e togliere dai posti di comando gente che non ha mai giocato a pallone. Tutto il potere (o molto più potere) a ex campioni come Baggio, Totti, Del Piero e altri che hanno dato lustro al calcio italiano.

    Calcio internazionale: quali sono secondo te i possibili campioni del futuro, gli eredi di Messi e Ronaldo?

    I possibili eredi di Messi e Ronaldo? Per me c’è un nome su tutti: Yamal del Barcellona! Ha meno di 18 anni, ha una tecnica sublime e senso tattico e personalità fuori dal comune! Poi segnalo anche Bellingham del Real e Nico Paz del Como.

    Ok, Francesca, prendiamo appunti: grazie!

    Stefano Marino

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  • Lega: l’avvento di Vannacci

    Lega: l’avvento di Vannacci

    Vannacci è il vero leghista salviniano, il primo militante leghista creato direttamente in laboratorio dal dott. Salvinenstein. Cooptato nel partito verde da un segretario affascinato dal suo Mondo al contrario e dalle tesi “raddrizzamentiste” formulate in esso, il generale il 6 aprile ha smesso di essere un indipendente gravitante nell’orbita della Lega ed è diventato finalmente un tesserato.

    La creatura si ribellerà al creatore? A Salvini verrà imputato, in futuro, di aver spregiudicatamente aperto il partito ai militari? Che abbia in testa l’idea di un ticket, in base al quale Vannacci potrebbe andare a breve alla guida del partito e Salvini sarebbe libero di dedicarsi anima e corpo alla scalata al Viminale? C’è sempre un prezzo da pagare per arrivare (o per tornare) al grande traguardo politico: l’ultima volta fu il matrimonio con i Cinquestelle, che poi proprio Salvini per la troppa ambizione fece naufragare. Da ministro dell’Interno puntava a diventare premier, invece, abbandonata la barca, si ritrovò da un giorno all’altro semplicemente all’opposizione. Aveva fatto u ribaltone alla Bossi, ma con risultati ancora peggiori.

    Se Salvini, dunque, vorrà sgravarsi dalle responsabilità direttive della Lega per inseguire i suoi sogni di gloria che Lega sarà quella consegnata a un Vannacci pronto a conquistare posizioni di sempre maggior potere? Uomini in divisa come alti dirigenti di partito in Italia li abbiamo visti nell’MSI (Borghese e Graziani, presidenti) e nel Partito Monarchico (Covelli, presidente e segretario). Si tratta di partiti intrinsecamente marziali, bellicisti dentro: il culto del militarismo ne era un carattere costitutivo. Ma la Lega non ha certo tradizioni di combattentismo o di revanscismo guerresco: in fondo nasce come movimento delle autonomie regionali che si proponeva di rimanere locale pur entrando nei gangli vitali della politica nazionale. Puntava certamente a dar voce a una protesta forte e anche violenta contro Roma da parte dei contadini, degli artigiani, degli industriali e dei professionisti del profondo Nord, ma di sicuro non con fucili, pistole, mitragliatrici e bombe: al massimo era contemplato qualche folcloristico forcone. Una forza finto-insurrezionalista che, entrata in Parlamento, nella stanza dei bottoni, divenne prima “guastafestista” – servendo da modello nientemeno che alla Rifondazione comunista bertinottiana, traino alla vittoria del suo schieramento e poi killer dello stesso – e in seguito ancillare, avendo ben cura però di ottenere garanzie circa il consolidamento dei suoi feudi in Italia settentrionale: era la Lega di Bossi, romantica, ruspante, ribelle, pacchianamente spartachiana. Poco a che vedere con la Lega patriottico-nazionalista di Salvini.

  • The Shrouds – Segreti sepolti

    The Shrouds – Segreti sepolti

    Titolo originale: The Shrouds

    Regia: David Cronenberg

    Produzione: Canada/Francia, 2024

    Durata: 119′

    Cast: Vincent Cassel, Diane Kruger, Guy Pearce, Sandrine Holt, Gray Foner, Myrna Slotnik

    Il ricco imprenditore Karsh (Vincent Cassel) ha costruito un singolare impero economico: una catena di cimiteri di ultima generazione, grazie a una tecnologia di sua invenzione che, con uno speciale sudario elettronico, permette il monitoraggio continuo dei sepolti. Karsh non si dà pace dalla perdita dell’amatissima moglie Becca (Diane Kruger) di cui monitora costantemente la salma tramite la sua invenzione. Quando uno dei suoi cimiteri viene preso d’assalto, la ricerca dei colpevoli fa sì che l’uomo, insieme alla cognata Terry (Kruger), gemella della defunta moglie, e del programmatore ed ex-cognato Maury (Guy Pearce) entri in un vortice di mistero tra attacchi informatici, gruppi di protesta e spionaggio industriale, nella cui indagine il ricordo della consorte innesca una dinamica pericolosa.

    Nulla di più facile che accostarsi a The Shrouds con l’aspettativa dell’opera-testamento. D’altra parte è almeno da Cosmopolis (2012) che David Cronenberg pare voler mettere in scena la propria morte, ed è altrettanto innegabile come sia Viggo Mortensen in Crimes of the Future (2022), sia Vincent Cassel in questa sua nuova opera, siano a tutti gli effetti un doppio del maestro canadese.

    La voglia di epitaffio è tanta, per un film che parla di morte e morti con la naturalezza di chi ha già la fine in vista, che ha al suo centro il cadavere come memoria ultima di e per i vivi. Ci si sbaglierebbe, dal momento che The Shrouds è tutt’al più un testamento teorico di un regista tornato ad abbracciare il proprio immaginario, forte della consonanza con uno Zeitgeist che dal maestro della “Nuova Carne” sembra aver appreso tutte le lezioni sbagliate.

    Giacché di manifesto teorico si tratta, The Shrouds è quanto di più vicino Cronenberg abbia fatto alla vecchia scuola dello sguardo: vicinissimo, per ossessioni e linguaggio, a Blow-Up di Antonioni, il film è non tanto una riflessione sulla morte, quanto sulla realtà di chi vive ancora, sull’impossibilità di mappare il vero, di separare alchemicamente la realtà dal groviglio delle sue rappresentazioni; il mistero non è qualcosa da risolversi, ma col quale dovere – per quanto si può – convivere serenamente.

    Cronenberg infila nel discorso pezzi vecchi e nuovi del suo immaginario: mutazioni chirurgiche, raddoppiamenti, lo spazio netto e astratto dell’amata Toronto quale “Interzona” di un mondo alla deriva; digitale e carnale coesistono e si confondono, sullo sfondo di terrorismo e spionaggio di corporazioni ombra. Non c’è da credere a niente e in niente, i morti marciscono e i vivi si arrabattano.

    Le manie sono anche quelle del tempo, dagli hacker russi e cinesi al revival brutalista, dall’ecoterrorismo alla generazione New Tech; su tutte l‘Intelligenza Artificiale che, a forza di deliri generativi, sembra mutare l’uomo e non se stessa in simulacro dell’umano. Il regista è straordinariamente a suo agio con le risorse tecniche e tematiche di questo nuovo mondo (almeno quanto era invece in impaccio nel romanzo Divorati), gioca con gli artifici del digitale, accosta la meme culture, va dritto al cuore putrido di una tele-presenza che è sempre più tele-assenza – assenza di noi, della fede che l’uomo poteva ancora avere in se stesso, della sua capacità di giudizio in un mondo di finzioni.

    Lo credevamo trans-umano, post-umano, post-moderno e qualunque altro “post” venga in mente: e invece eccolo, Cronenberg, fin troppo umano, come un alchimista che cerchi di separare l’uomo dal suo riflesso. Lo fa anche con stile, quel suo stile che negli anni si è sempre più rarefatto, perseguendo un’austerità dell’immagine che nella sua schiettezza e precisione formale corteggia la potenza del geroglifico: impossibile non pensare a un altro grande moralista del cinema, a Paul Schrader che col suo Oh, Canada (già, appunto, il Canada) inchiodava l’uomo ai suoi fantasmi nello specchio del video, lontanissimo da qualsiasi velleità dell’immagine per sé.

    Una clinica operazione formale, si direbbe dunque. Sbagliato: The Shrouds è a mani basse il film più lirico, più sincero, più melodrammatico dell’ultimo Cronenberg. Era dai tempi di M. Butterfly (1993) che il canadese non approcciava l’amore e il suo trauma con tanta verità: il mèlo è senza vergogna, la carnalità dell’amplesso ribalta la freddezza del sesso in Crash (1996), il ricordo non abbandona il senso tattile dell’amare.

    Certo il vissuto fa la sua parte: il regista elabora la perdita dell’amatissima moglie Carolyn, scomparsa a 66 anni per un tumore; la morte, si sa, spegne una vita ma non un rapporto. La carne ricorda: noi amiamo i corpi che ci hanno stretti nel buio, i visi che abbiamo baciato, le bocche che ci hanno parlato o hanno taciuto. Amore e morte hanno sempre fatto parte del discorso di Cronenberg, ma quasi mai prima con una sincerità così evidente, così libera da ogni vezzo, così personale.

    L’autobiografismo è spoglio e senza patemi; c’è anche spazio per il lascito spirituale, per quelle origini ebraiche che il regista riscopre senza patetismo; The Shrouds esprime senza più angoscia l’accettazione – questa realmente rabbinica – dell’esistenza quale mistero, da indagare quel tanto da poter vivere.

    Al centro della piccola, affollata scena cimiteriale, gli attori danno il loro meglio: Diane Kruger è in stato di grazia nel triplo ruolo di Becca, Terry e Hunny (questa il suo avatar digitale), umanissima nell’incarnare una fisicità fragile, sofferente, dimessa e insieme crudelmente sensuale; Guy Pearce è la variabile impazzita, calibratissimo in un ruolo che minaccia a ogni passo di farsi caricatura.

    Quanto a Vincent Cassel, poco da dire: è lui il vero araldo del regista, il suo doppio artistico e personale; Cassel distilla le forme minute del lutto, modella con scioltezza un personaggio che per naturalezza pare essersi scritto da solo, sublima in fragilità serafica una figura che, in mano ad altri attori e registi, sarebbe stata al più una parodia dei vari Bezos, Cook e Musk.

    Insomma un rilancio dell’umano, questo The Shrouds, da un umanista indefesso quale Cronenberg – a lungo additato come un cinico macellaio dell’orrore. Che siano gli altri, tanto per cambiare, a celebrare la nuova carne: forse, nel mare di nuove carni di questo mondo, è ancora il caso di tenersi stretta quella vecchia, e amarla per quel si può.

    Fabio Cassano

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  • Spera – Papa Francesco

    Spera – Papa Francesco

    Edito da Mondadori ed uscito pochi mesi fa, Spera è un libro eccezionale, per il suo titolo così semplice eppure così potente, per il suo messaggio così forte e per ciò che è concretamente: l’autobiografia di un Papa. Di Papa Francesco.
    Ricostruendo le proprie origini e quelle della propria famiglia, il Pontefice ci riporta nell’Italia di inizio Novecento, povera, umile, ma sana, al cospetto di una generazione costretta ad intraprendere viaggi lunghissimi in mare per iniziare una nuova vita in terre sconosciute, lontane dalla propria madrepatria. E’ proprio quello che è accaduto ai suoi antenati costretti ad abbandonare il Piemonte e la Liguria e ad emigrare in Argentina, dove Papa Bergoglio è nato nel 1936.
    Attraverso una narrazione semplice, quasi colloquiale, a tratti perfino divertente e commossa, il Pontefice ci porta nei giorni spensierati della sua infanzia, nel cuore di una famiglia molto unita e tenuta in piedi soprattutto dalle forti figure femminili, alle quali Francesco rivolge dolcissimi ricordi – la madre in particolare, ma anche la nonna e le sorelle. Ci racconta poi delle sue passioni – quella del calcio, innanzitutto, che lo accompagna tuttora – e non risparmia critiche a sé stesso, per un comportamento tenuto in passato, per una parola non detta quando occorreva…
    Ciò che emerge da questa lettura bella è la profonda umanità di questo Pontefice, che ha stupito il mondo intero per la sua ostentata semplicità – a volte perfino dividendo l’opinione pubblica e addirittura scandalizzando alcuni – e che imponendosi da subito per il suo messaggio di semplicità e povertà – come il nome stesso da lui scelto, quello del Poverello di Assisi, testimonia – ha saputo affrontare con coraggio alcuni dei momenti più difficili della contemporaneità.

    Vittoria Caiazza

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  • Trump, Putin e Zelensky: tra accordi e tensioni per la tregua in Ucraina

    Trump, Putin e Zelensky: tra accordi e tensioni per la tregua in Ucraina

    Mentre l’Europa pensa al riarmo, la guerra in Ucraina potrebbe raggiungere un cessate il fuoco provvisorio per 30 giorni in vista di una futura tregua. Infatti, sembra che l’isolamento di Putin sia finito da quando Trump è diventato Presidente. Dopo la trappola tesa nello Studio Ovale a Zelensky il 28 febbraio, dalla quale è uscito
    umiliato, i due leader sembrano avere un “nemico” in comune. Di fatto, il Tycoon ha ribadito più volte che si trova meglio a parlare con il Presidente russo piuttosto che con il “comico mediocre e dittatore senza elezioni”.

    “We’re very much on track”
    Dopo essere andato a Mosca il 13 marzo, Steve Witkoff, negoziatore dell’amministrazione americana e inviato speciale per il Medio Oriente, ha dichiarato alla CBS che la Casa Bianca può già ipotizzare a quali territori interessino alla Russia in un possibile trattato di pace, tra cui la centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande
    d’Europa, occupata dai russi dal marzo 2022. Di fatto, nella telefonata tra Putin e Trump di martedì 18 marzo, si è discusso della sospensione temporanea degli attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine, da sempre nel mirino di Mosca. Anche se si tratta solo dell’inizio di una possibile tregua duratura, per il momento i leader dei tre Paesi coinvolti sembrano aver raggiunto un accordo, almeno temporaneamente. È probabile che in futuro venga discussa anche la possibilità di un cessate il fuoco marittimo nel Mar Nero come un ulteriore passo verso la fine della guerra. Il giorno dopo il colloquio tra le due potenze, quindi mercoledì 19 marzo, Zelensky ha voluto contattare il Presidente per sapere di cosa hanno parlato. Tramite un post sui social, Trump ha dichiarato che la telefonata è stata incentrata sugli argomenti trattati con Putin il giorno precedente e l’ha definita “molto positiva”.

    Condizioni per la pace
    Una delle condizioni chiave per la fine della guerra, come riporta l’agenzia Ria Novosti, è la cessazione degli aiuti militari stranieri all’Ucraina, come ha ribadito più volte il leader del Cremlino, ma il Tycoon afferma che quell’argomento non è stato trattato durante il colloquio tra i due. Un altro elemento fondamentale è
    l’interruzione della trasmissione di informazioni di intelligence a Kiev e l’eliminazione delle cause radicali del conflitto, che però non vengono specificate.
    Un argomento non affrontato, ma che rimane di vitale importanza, è quello di un possibile contingente militare di peacekeeping, come ha proposto Zelensky più volte, ma per il Presidente ucraino devono venire coinvolti direttamente gli americani. Infatti, secondo lui, nonostante ci siano Paesi europei che sarebbero disposti ad
    inviare delle truppe, tra cui in special modo Inghilterra, Francia e Polonia, nessuno sarebbe disposto a rischiare senza la presenza degli Stati Uniti. La Casa Bianca, inoltre, ha voluto evidenziare che uno degli obiettivi è quello di migliorare le relazioni bilaterali e che il Medio Oriente potrebbe essere il punto di partenza per la collaborazione tra le due potenze. Di fatto, durante la telefonata si è trattata la necessità di prevenire futuri conflitti nella regione, ma è stata sottolineata
    anche la necessità di fermare la proliferazione di armi strategiche, anche in previsione del trattato “New START” previsto per febbraio 2026. Un elemento che l’amministrazione Trump ha voluto mettere in chiaro, sul quale i russi sembrano essere d’accordo, è che “l’Iran non dovrà mai essere in grado di distruggere Israele”.
    Ciò arriva pochi giorni dopo la ripresa del conflitto tra lo Stato ebraico e Hamas.

    Cessate il fuoco in bilico: scambio di prigionieri, ma i bombardamenti continuano
    Il Presidente incaricherà Marco Rubio, Segretario di Stato, e Mike Waltz, Consigliere per la sicurezza nazionale, per stilare l’accordo del cessate il fuoco, provando ad includere anche il Mar Nero. Tuttavia, non è ancora stata stabilita una data per l’incontro tra le due delegazioni, né tantomeno tra i due Presidenti. Inoltre, potrebbero
    sorgere dei problemi per l’accordo, poiché la Russia vuole tagliare gli aiuti dell’Ucraina, ma il governo finlandese ha appena approvato un pacchetto da 200 milioni di euro. La questione più spinosa, tuttavia, resta quella dei territori conquistati dai russi. Di fatto, se consideriamo anche la Crimea, la Russia ha conquistato il 20% del
    territorio ucraino, ma Zelensky appare irremovibile nel rifiuto categorico di qualsiasi concessione. Di recente, Rubio e Pete Hegseth, Segretario della difesa, hanno affermato che l’Ucraina si deve preparare a riconoscere almeno in parte le conquiste russe, soprattutto quelle derivanti dalla guerra del 2014. Nonostante ciò, i rapporti tra le due Nazioni sembrano essersi leggermente distesi: nella giornata di mercoledì 19 marzo è avvenuto uno scambio di 350 prigionieri totali, 175 per parte. Tuttavia, i bombardamenti continuano, colpendo ancora le infrastrutture energetiche e, secondo quanto affermato da Zelensky, anche mezzi di trasporti e due ospedali. Infatti, Mosca avrebbe lanciato 150 droni, ma anche le forze ucraine hanno continuato ad attaccare.

    L’Europa si riarma
    Le intenzioni europee di sicuro non sono quelle di rimanere a guardare e lasciare che Donald Trump gestisca tutto da solo. Supportata anche dal Presidente ucraino, l’UE punta a ottenere un posto al tavolo dei negoziati e si prepara a un futuro in cui gli Stati Uniti potrebbero abbandonare la difesa del continente. Infatti, con la recente approvazione della “Proposta di risoluzione sul libro bianco sul futuro della difesa europea”, l’Unione è pronta a stanziare fino a 650 miliardi di euro da investire nella difesa e altri 150 miliardi da concedere in prestiti agli Stati membri per investirli nel settore della difesa. Il Piano ReArm prevede anche il coinvolgimento del settore privato, preoccupando economisti e forze politiche. Di fatto, la critica che viene rivolta a questa strategia è quella di aumentare le tensioni internazionali.

    Matteo Boschetti

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  • PICASSO lo straniero

    PICASSO lo straniero

    Dal Palazzo Reale di Milano (dal 20 settembre 2024 al 2 febbraio 2025) PICASSO lo straniero arriva a Roma, tra le vie più belle della capitale, in via del Corso, presso il Palazzo Cipolla. Inaugurata soltanto il 27 febbraio scorso quella su Picasso pare essere la più aspettata frequentata e visitata tra le mostre romane e italiane.

    Anche l’acquisto del biglietto è impresa non da poco e, nella strada, già notoriamente affollata del centro storico di Roma, si riescono a distinguere i numerosi ed entusiastici gruppi di individui e turisti, tutti di nazionalità diverse, anche loro – che aspettano di entrare per conoscere il (quasi) s-conosciuto Pablo Picasso, presentato per la prima volta in una nuova veste.

    La mostra resterà a Roma sino al 29 giugno.

    Pablo Picasso è, indiscutibilmente, tra gli artisti del Novecento fra i più noti al mondo intero. La sua fama si sparge tra il sofisticato amore degli addetti ai lavori e la sua popolarità arriva sino al grande pubblico.

    Tutti conoscono Pablo Picasso.

    Tutti ne parlano. Tutti ne hanno parlato almeno una volta nella loro vita e non importa se spinti da motivazioni diverse.

    E, il paradosso, risiede proprio nella risonanza che Picasso lascia dietro di se: è stato detto tutto su Pablo Picasso e per questo ne è difficile parlarne ancora.

    La mostra, ideata da Annie Cohen-Solal, organizzata dalla Fondazione Roma in collaborazionecon Marsilio Arte, si realizza inoltre grazie alla collaborazione con il Musée national Picasso-Paris, principale prestatore, il Palais de la Porte Dorée, il Museu Picasso Barcelona, il Musée Picasso di Antibes, il Musée Magnelli – Musée de la céramique di Vallauris e importanti e storiche collezioni private europee, la mostra presenterà più di 100 opere dell’artista, oltre a documenti, fotografie, lettere e video: un progetto che si arricchisce – per la terza tappa italiana dopo Palazzo Reale di Milano e Palazzo Te a Mantova – di un nucleo di opere inedite, selezionate dalla curatrice esclusivamente per il percorso espositivo di Palazzo Cipolla (fonte: museodelcorso.com).

    Non solo una mostra ma una celebrazione-evento tutta intenta a mostrare il Picasso uomo, alle prese con una delle questioni culturali più comuni al genere umano, in qualunque tempo e parte del mondo: Picasso migrante: un uomo e un artista messo ai taciuti confini di luoghi e spazi che lo riconoscono come: straniero.

    La condizione di ”straniero” e i fatti culturali e sociali che ne conseguono sono tristemente affollati e vissuti anche in questi tempi contemporanei. La mostra pare essere nient’altro che una eco che documenta attaverso, una narrazione semplice e lineare, la condizione umana di Picasso che si riflette sulla sua opera e che fa dell’opera stessa una riflessione del mondo e dell’uomo, spesso vittima, di una società  perseguitante.

    Pablo Picasso nasce il 25 ottobre 1881 a Malaga, in Spagna, e quando morirà, nell’anno 1973, in Francia, sarà lui a scegliere di restare straniero, non morirà da francese perchè Mougins sarà solo un pezzo di terra qualunque.

    La sua storia (personale e individuale) fanno della sua arte una necessità personale e un’esperienza collettiva capace di mostrare un uomo maltrattato e messo all’angolo dalle istituzioni che dimenticano di esserci per tutelare l’indivuo e non per costruirgli addosso un muro di cemento capace di confinarlo ovunque la burocrazia voglia.

    Tra i corridoi del Palazzo Cipolla conosciamo l’uomo Picasso: la vulnerabilità umana; la visione politica e la poetica, la sua ricerca artistica espressa nelle sue opere e raccontate nei documenti e nelle lettere, nelle fotografie e i nei video, in totale un centinaio, il ruolo sociale e l’impegno civile sono, non solo evidenti, ma emergono lì ovunque lui stesso sia stato. In ogni luogo e forma di sé.

    La Mostra si apre con L’Adolescentopera di collezione privata, che Picasso dipinge a Parigi nel 1969, a ottantotto anni, solo quattro anni prima del  compiersi della sua vita, e termina con un documento video, voluto da suo figlio Claude, che mostra le sue case e i suoi studi, così come erano e così come li aveva lasciati attraversati dalla sua produzione artistica infinita.

    Claudia dell’Era

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