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  • Spera – Papa Francesco

    Spera – Papa Francesco

    Edito da Mondadori ed uscito pochi mesi fa, Spera è un libro eccezionale, per il suo titolo così semplice eppure così potente, per il suo messaggio così forte e per ciò che è concretamente: l’autobiografia di un Papa. Di Papa Francesco.
    Ricostruendo le proprie origini e quelle della propria famiglia, il Pontefice ci riporta nell’Italia di inizio Novecento, povera, umile, ma sana, al cospetto di una generazione costretta ad intraprendere viaggi lunghissimi in mare per iniziare una nuova vita in terre sconosciute, lontane dalla propria madrepatria. E’ proprio quello che è accaduto ai suoi antenati costretti ad abbandonare il Piemonte e la Liguria e ad emigrare in Argentina, dove Papa Bergoglio è nato nel 1936.
    Attraverso una narrazione semplice, quasi colloquiale, a tratti perfino divertente e commossa, il Pontefice ci porta nei giorni spensierati della sua infanzia, nel cuore di una famiglia molto unita e tenuta in piedi soprattutto dalle forti figure femminili, alle quali Francesco rivolge dolcissimi ricordi – la madre in particolare, ma anche la nonna e le sorelle. Ci racconta poi delle sue passioni – quella del calcio, innanzitutto, che lo accompagna tuttora – e non risparmia critiche a sé stesso, per un comportamento tenuto in passato, per una parola non detta quando occorreva…
    Ciò che emerge da questa lettura bella è la profonda umanità di questo Pontefice, che ha stupito il mondo intero per la sua ostentata semplicità – a volte perfino dividendo l’opinione pubblica e addirittura scandalizzando alcuni – e che imponendosi da subito per il suo messaggio di semplicità e povertà – come il nome stesso da lui scelto, quello del Poverello di Assisi, testimonia – ha saputo affrontare con coraggio alcuni dei momenti più difficili della contemporaneità.

    Vittoria Caiazza

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  • Trump, Putin e Zelensky: tra accordi e tensioni per la tregua in Ucraina

    Trump, Putin e Zelensky: tra accordi e tensioni per la tregua in Ucraina

    Mentre l’Europa pensa al riarmo, la guerra in Ucraina potrebbe raggiungere un cessate il fuoco provvisorio per 30 giorni in vista di una futura tregua. Infatti, sembra che l’isolamento di Putin sia finito da quando Trump è diventato Presidente. Dopo la trappola tesa nello Studio Ovale a Zelensky il 28 febbraio, dalla quale è uscito
    umiliato, i due leader sembrano avere un “nemico” in comune. Di fatto, il Tycoon ha ribadito più volte che si trova meglio a parlare con il Presidente russo piuttosto che con il “comico mediocre e dittatore senza elezioni”.

    “We’re very much on track”
    Dopo essere andato a Mosca il 13 marzo, Steve Witkoff, negoziatore dell’amministrazione americana e inviato speciale per il Medio Oriente, ha dichiarato alla CBS che la Casa Bianca può già ipotizzare a quali territori interessino alla Russia in un possibile trattato di pace, tra cui la centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande
    d’Europa, occupata dai russi dal marzo 2022. Di fatto, nella telefonata tra Putin e Trump di martedì 18 marzo, si è discusso della sospensione temporanea degli attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine, da sempre nel mirino di Mosca. Anche se si tratta solo dell’inizio di una possibile tregua duratura, per il momento i leader dei tre Paesi coinvolti sembrano aver raggiunto un accordo, almeno temporaneamente. È probabile che in futuro venga discussa anche la possibilità di un cessate il fuoco marittimo nel Mar Nero come un ulteriore passo verso la fine della guerra. Il giorno dopo il colloquio tra le due potenze, quindi mercoledì 19 marzo, Zelensky ha voluto contattare il Presidente per sapere di cosa hanno parlato. Tramite un post sui social, Trump ha dichiarato che la telefonata è stata incentrata sugli argomenti trattati con Putin il giorno precedente e l’ha definita “molto positiva”.

    Condizioni per la pace
    Una delle condizioni chiave per la fine della guerra, come riporta l’agenzia Ria Novosti, è la cessazione degli aiuti militari stranieri all’Ucraina, come ha ribadito più volte il leader del Cremlino, ma il Tycoon afferma che quell’argomento non è stato trattato durante il colloquio tra i due. Un altro elemento fondamentale è
    l’interruzione della trasmissione di informazioni di intelligence a Kiev e l’eliminazione delle cause radicali del conflitto, che però non vengono specificate.
    Un argomento non affrontato, ma che rimane di vitale importanza, è quello di un possibile contingente militare di peacekeeping, come ha proposto Zelensky più volte, ma per il Presidente ucraino devono venire coinvolti direttamente gli americani. Infatti, secondo lui, nonostante ci siano Paesi europei che sarebbero disposti ad
    inviare delle truppe, tra cui in special modo Inghilterra, Francia e Polonia, nessuno sarebbe disposto a rischiare senza la presenza degli Stati Uniti. La Casa Bianca, inoltre, ha voluto evidenziare che uno degli obiettivi è quello di migliorare le relazioni bilaterali e che il Medio Oriente potrebbe essere il punto di partenza per la collaborazione tra le due potenze. Di fatto, durante la telefonata si è trattata la necessità di prevenire futuri conflitti nella regione, ma è stata sottolineata
    anche la necessità di fermare la proliferazione di armi strategiche, anche in previsione del trattato “New START” previsto per febbraio 2026. Un elemento che l’amministrazione Trump ha voluto mettere in chiaro, sul quale i russi sembrano essere d’accordo, è che “l’Iran non dovrà mai essere in grado di distruggere Israele”.
    Ciò arriva pochi giorni dopo la ripresa del conflitto tra lo Stato ebraico e Hamas.

    Cessate il fuoco in bilico: scambio di prigionieri, ma i bombardamenti continuano
    Il Presidente incaricherà Marco Rubio, Segretario di Stato, e Mike Waltz, Consigliere per la sicurezza nazionale, per stilare l’accordo del cessate il fuoco, provando ad includere anche il Mar Nero. Tuttavia, non è ancora stata stabilita una data per l’incontro tra le due delegazioni, né tantomeno tra i due Presidenti. Inoltre, potrebbero
    sorgere dei problemi per l’accordo, poiché la Russia vuole tagliare gli aiuti dell’Ucraina, ma il governo finlandese ha appena approvato un pacchetto da 200 milioni di euro. La questione più spinosa, tuttavia, resta quella dei territori conquistati dai russi. Di fatto, se consideriamo anche la Crimea, la Russia ha conquistato il 20% del
    territorio ucraino, ma Zelensky appare irremovibile nel rifiuto categorico di qualsiasi concessione. Di recente, Rubio e Pete Hegseth, Segretario della difesa, hanno affermato che l’Ucraina si deve preparare a riconoscere almeno in parte le conquiste russe, soprattutto quelle derivanti dalla guerra del 2014. Nonostante ciò, i rapporti tra le due Nazioni sembrano essersi leggermente distesi: nella giornata di mercoledì 19 marzo è avvenuto uno scambio di 350 prigionieri totali, 175 per parte. Tuttavia, i bombardamenti continuano, colpendo ancora le infrastrutture energetiche e, secondo quanto affermato da Zelensky, anche mezzi di trasporti e due ospedali. Infatti, Mosca avrebbe lanciato 150 droni, ma anche le forze ucraine hanno continuato ad attaccare.

    L’Europa si riarma
    Le intenzioni europee di sicuro non sono quelle di rimanere a guardare e lasciare che Donald Trump gestisca tutto da solo. Supportata anche dal Presidente ucraino, l’UE punta a ottenere un posto al tavolo dei negoziati e si prepara a un futuro in cui gli Stati Uniti potrebbero abbandonare la difesa del continente. Infatti, con la recente approvazione della “Proposta di risoluzione sul libro bianco sul futuro della difesa europea”, l’Unione è pronta a stanziare fino a 650 miliardi di euro da investire nella difesa e altri 150 miliardi da concedere in prestiti agli Stati membri per investirli nel settore della difesa. Il Piano ReArm prevede anche il coinvolgimento del settore privato, preoccupando economisti e forze politiche. Di fatto, la critica che viene rivolta a questa strategia è quella di aumentare le tensioni internazionali.

    Matteo Boschetti

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  • PICASSO lo straniero

    PICASSO lo straniero

    Dal Palazzo Reale di Milano (dal 20 settembre 2024 al 2 febbraio 2025) PICASSO lo straniero arriva a Roma, tra le vie più belle della capitale, in via del Corso, presso il Palazzo Cipolla. Inaugurata soltanto il 27 febbraio scorso quella su Picasso pare essere la più aspettata frequentata e visitata tra le mostre romane e italiane.

    Anche l’acquisto del biglietto è impresa non da poco e, nella strada, già notoriamente affollata del centro storico di Roma, si riescono a distinguere i numerosi ed entusiastici gruppi di individui e turisti, tutti di nazionalità diverse, anche loro – che aspettano di entrare per conoscere il (quasi) s-conosciuto Pablo Picasso, presentato per la prima volta in una nuova veste.

    La mostra resterà a Roma sino al 29 giugno.

    Pablo Picasso è, indiscutibilmente, tra gli artisti del Novecento fra i più noti al mondo intero. La sua fama si sparge tra il sofisticato amore degli addetti ai lavori e la sua popolarità arriva sino al grande pubblico.

    Tutti conoscono Pablo Picasso.

    Tutti ne parlano. Tutti ne hanno parlato almeno una volta nella loro vita e non importa se spinti da motivazioni diverse.

    E, il paradosso, risiede proprio nella risonanza che Picasso lascia dietro di se: è stato detto tutto su Pablo Picasso e per questo ne è difficile parlarne ancora.

    La mostra, ideata da Annie Cohen-Solal, organizzata dalla Fondazione Roma in collaborazionecon Marsilio Arte, si realizza inoltre grazie alla collaborazione con il Musée national Picasso-Paris, principale prestatore, il Palais de la Porte Dorée, il Museu Picasso Barcelona, il Musée Picasso di Antibes, il Musée Magnelli – Musée de la céramique di Vallauris e importanti e storiche collezioni private europee, la mostra presenterà più di 100 opere dell’artista, oltre a documenti, fotografie, lettere e video: un progetto che si arricchisce – per la terza tappa italiana dopo Palazzo Reale di Milano e Palazzo Te a Mantova – di un nucleo di opere inedite, selezionate dalla curatrice esclusivamente per il percorso espositivo di Palazzo Cipolla (fonte: museodelcorso.com).

    Non solo una mostra ma una celebrazione-evento tutta intenta a mostrare il Picasso uomo, alle prese con una delle questioni culturali più comuni al genere umano, in qualunque tempo e parte del mondo: Picasso migrante: un uomo e un artista messo ai taciuti confini di luoghi e spazi che lo riconoscono come: straniero.

    La condizione di ”straniero” e i fatti culturali e sociali che ne conseguono sono tristemente affollati e vissuti anche in questi tempi contemporanei. La mostra pare essere nient’altro che una eco che documenta attaverso, una narrazione semplice e lineare, la condizione umana di Picasso che si riflette sulla sua opera e che fa dell’opera stessa una riflessione del mondo e dell’uomo, spesso vittima, di una società  perseguitante.

    Pablo Picasso nasce il 25 ottobre 1881 a Malaga, in Spagna, e quando morirà, nell’anno 1973, in Francia, sarà lui a scegliere di restare straniero, non morirà da francese perchè Mougins sarà solo un pezzo di terra qualunque.

    La sua storia (personale e individuale) fanno della sua arte una necessità personale e un’esperienza collettiva capace di mostrare un uomo maltrattato e messo all’angolo dalle istituzioni che dimenticano di esserci per tutelare l’indivuo e non per costruirgli addosso un muro di cemento capace di confinarlo ovunque la burocrazia voglia.

    Tra i corridoi del Palazzo Cipolla conosciamo l’uomo Picasso: la vulnerabilità umana; la visione politica e la poetica, la sua ricerca artistica espressa nelle sue opere e raccontate nei documenti e nelle lettere, nelle fotografie e i nei video, in totale un centinaio, il ruolo sociale e l’impegno civile sono, non solo evidenti, ma emergono lì ovunque lui stesso sia stato. In ogni luogo e forma di sé.

    La Mostra si apre con L’Adolescentopera di collezione privata, che Picasso dipinge a Parigi nel 1969, a ottantotto anni, solo quattro anni prima del  compiersi della sua vita, e termina con un documento video, voluto da suo figlio Claude, che mostra le sue case e i suoi studi, così come erano e così come li aveva lasciati attraversati dalla sua produzione artistica infinita.

    Claudia dell’Era

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  • E i passeri ridono: Gene Hackman

    E i passeri ridono: Gene Hackman

    Storiella: c’è un giovane portiere all’Essex House di New York. Vorrebbe fare l’attore, ma non ne è sicuro; fatto sta che la sua carriera non decolla. Davanti all’hotel parcheggia il suo vecchio comandante, un fantasma del periodo nei Marines; il ragazzo dovrebbe prendergli i bagagli, ma è distratto; l’ufficiale lo fredda: «Eri un buono a nulla e sei ancora un buono a nulla».

    Il giovane si chiama Gene Hackman; il comandante, vallo a sapere.

    Fast forward: Texas, 1967. Hackman è sul set di Gangster Story; Arthur Penn dirige, Godard si è rifiutato, Warren Beatty produce e la Warner non sa che farsene. Nessuno degli astanti sa di aver piazzato una bomba ai piedi della vecchia Hollywood: dopo, il cinema americano non sarà più lo stesso. Hackman è Buck, il fratello ignoto e sfigato di Clyde, quello che la leggenda non ricorda; se Clyde (Beatty) è il volto seducente e ribelle del crimine, Buck ne è quello ridanciano e picaresco – quello che se crivellato sanguina peggio.

    Il film è un successo, la storia del cinema apre giocoforza un nuovo capitolo; Hackman rimane al palo.

    Meglio tirare avanti: New York, 1971. Hackman sta per mollare, tutti i suoi amici ce l’hanno fatta e lui no: mentre lui era in Texas, il suo coinquilino Dustin Hoffman si è Laureato; lui è rimasto indietro, sembra che il suo momento non arrivi mai.

    La Provvidenza ha una Calibro 9: Hackman è lo sbirro corrotto “Popeye” Doyle ne Il Braccio Violento della Legge. È l’ultima spiaggia del regista William Friedkin, che non osa a credere in lui. Hackman non riesce a far suo il personaggio: non gli appartiene, lo odia, quello non è lui.

    Friedkin decide che Hackman deve arrabbiarsi, fosse anche col regista; Hackman abbozza, poi va sul set e si arrabbia sul serio. Il resto è storia: Il Braccio Violento della Legge cambia il volto del poliziesco, incendia il dibattito nell’Italia di Piombo, sfonda i botteghini e si porta via cinque Oscar, tra cui miglior film (altri tempi); uno naturalmente è per Hackman, finalmente schizzato in alto, stella tra le stelle. Da lì in poi lui e Friedkin si parleranno appena, ma poco importa: la leggenda è fatta. “Popeye” tornerà nel ’75 per il seguito, stavolta diretto da John Frankenheimer: si pensi quel che pare, ma il poliziotto è ancora marcio.

    Alla deriva: 1973, un luogo sperduto della California; il film è Lo Spaventapasseri di Jerry Schatzberg. Hackman e Al Pacino sono il duo che non ti aspetti: una stranita coppia beckettiana, in una provincia che pare uscita da un’immane devastazione. Godot non arriva e loro non aspettano: vanno a Est verso Pittsburgh, cercano il futuro che li ha bidonati a Ovest.

    Al Pacino è Lion, un neo-padre in fuga che vuol rimettere le cose a posto; Hackman è Max, ex- galeotto col sogno di aprire un autolavaggio – perché si sa, «Tutte le macchine si sporcano». Finisce male: Lion perde la brocca, Max promette di salvarlo ma può a stento salvare se stesso. Ha solo spiccioli in una scarpa per il pullman, ma non si perde d’animo: Lion gli ha fatto scoprire se stesso. Max non è un criminale né un sognatore né un pazzo: solo uno spaventapasseri, di quelli che non spaventano ma divertono. Max batte la scarpa sul bancone, e i passeri ridono.

    Eggià, perché sa anche far ridere: a intuirlo è Mel Brooks – chi altri?

    Frankenstein Junior è la rivelazione comica: Hackman è il vecchio cieco che accoglie il Mostro, lo maltratta quanto più ne ha cura, maneggia i sigari con smorfia bambinesca. Dieci minuti, ma tutti esilaranti: la Creatura fugge a digiuno, col dito scottato e un pessimo umore; Hackman lo insegue interdetto: stava per fare l’espresso.

    Siamo ancora nel ’74, ma stavolta c’è poco da ridere. Hackman è a San Francisco per La Conversazione di Coppola. L’attore è irritabile: ora che ha imparato a divertirsi, il personaggio di Harry lo costringe a fare il misantropo. Fa niente: Coppola non è Friedkin, sa già che lui è quello giusto. C’è un nastro magnetico (lo stesso che usavano al Watergate, neanche a farlo apposta), una conversazione origliata, forse un delitto; nessuno sa niente, intanto il cesso trabocca sangue.

    Harry è paranoico: deve esserlo, giacché la paranoia è il suo lavoro, ma ormai fa parte di lui; non sa risolversi, cerca le tracce di un orecchio indiscreto ora che il suo ha fallito; alla fine restano solo macerie, non c’è che da suonare il sax. Qualcuno grida al clone di Blow-Up, ma non importa: La Conversazione è un capolavoro. Se lo ricorderà pure Tony Scott, che vorrà a tutti i costi Hackman per Nemico Pubblico, erede spirituale dell’opera maestra di Coppola.

    La risata ritorna nel ’79: Gene Hackman è Lex Luthor, l’arcinemico di Superman nel film di Richard Donner. È una pacchia: per Hackman è vero amore, il suo Luthor è buffo, crudele, brillante e rozzo, colorato come un fumetto della Silver Age. Il primo grande film di supereroi ha il suo primo, grandioso villain: la gioia del recitare è autentica, il tratteggio è da vaudeville, le tavole illustrate hanno vinto.

    Luthor ritornerà l’anno dopo, per quell’ircocervo di Superman II (ma solo nelle scene girate da Donner) e nell’83, per il quarto sciagurato film della saga: se il film arranca e si schianta, per Hackman non sembra essere passato un giorno.

    Non basterebbe un intero numero di rivista, per compendiare il silenzioso viaggio di Gene Hackman nel cinema che vale amare. Ci si lasci almeno il West: quello de Gli Spietati, con Hackman nemesi pragmatica di Clint Eastwood, sceriffo che sa parlare ma spara anche meglio; tra tutti i momenti da ricordare, quello da antologia è un monologo accanto a una cella, mentre fuori infuria il temporale.

    La morale? Una pistola è bene, due pistole è meglio.

    O ancora la Grande Mela: stavolta quella de I Tenenbaum, il film che ha consacrato Wes Anderson. Hackman è Royal Tenenbaum, il patriarca di una famiglia allo sbando, comandante di una nave che affonda; i figli si salvano da se stessi, la crociera della vita è salva, il capitano affonda con la nave.

    Nessuna malinconia: i passeri ridono ancora.

    ene Hackman è il vagabondo Max ne Lo Spaventapasseri (1973).

    Fabio Cassano

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  • “Hitler e Mussolini” di Bruno Vespa

    “Hitler e Mussolini” di Bruno Vespa

    Hitler e Mussolini: due uomini molto simili tra loro, entrambi protagonisti di un’irresistibile ascesa. Irresistibilmente attratti uno dall’altro, finiranno per suggellare una forte alleanza, che non mancherà di avere conseguenze pesanti per la storia del XX secolo. Entrambi hanno vissuto un’infanzia e una giovinezza molto triste, ma questo non è il solo punto in comune. Entrambi ebbero molte donne nella propria vita e quando salirono al potere furono trascinatori di masse come soltanto le figure più carismatiche della storia seppero essere. La figura femminile più importante nella vita del Führer fu Eva Braun, una giovane ragazza che lo amava e lo stimava per i suoi valori e per i suoi pensieri. Il Duce, invece, venne colpito dalla bellezza di Claretta Petacci, anche se prima si innamorò di Margherita Sarfatti, con cui ebbe una frequentazione molto importante.

    Le ideologie del nazismo e del fascismo, congiunte, partorirono la più grande tragedia e il più grande incubo dello scorso secolo: la Seconda Guerra Mondiale, che fu la loro fine. Al termine del conflitto, infatti, Hitler si suicidò nel suo bunker sparandosi alla testa, mentre Mussolini venne ucciso dai partigiani. Entrambi avevano cominciato la loro scalata al potere in maniera lenta: pochi voti, molto scetticismo. Conquistare le masse non riuscì certo loro in un giorno: ma alla fine la tenace volontà di dominio fu premiata e di certo tutto si può dire, nel loro specifico caso, tranne che un successo da demagoghi fu meno effimero.

    Bruno Vespa, al solito, tra momenti culmine (il delitto Matteotti, che fu uno spartiacque nell’Italia già avviata alla dittatura fascista) ed episodi eloquenti (la rabbia del Führer per la vittoria dell’afroamericano Jesse Owens che sporca le “sue” Olimpiadi berlinesi del ’36) getta un ponte tra passato e presente. Ormai la ricetta dei suoi libri prevede che la prima parte, riguardante il passato, venga trattata come una sorta di antefatto dell’attuale momento politico internazionale. Anche oggi la scena mondiale sembra dominata da grandi tiranni e demagoghi, in primis Trump e Putin. Due tizzoni ardenti – la guerra in Ucraina e quella in Medioriente – promettono (minacciano) una nuova deflagrazione bellica globale: in mezzo naturalmente c’è l’Italia, con Meloni e il suo governo. Che lavora per trovare un difficile equilibrio tra Ue e rapporti con le grandi potenze. Dovendo affrontare numerose difficoltà interne. Ma non ci sono solo gli attacchi frontali dell’opposizione, ancora priva di una sua compattezza però (leggasi campo largo): un pericolo ancora maggiore è rappresentato da cecchinaggi e malumori dentro la maggioranza. Il riferimento naturalmente è alla Lega, che a sua volta  soffre non poche perturbazioni al suo interno L’alleato più fidato per Giorgia Meloni resta sempre Forza Italia.

    “Hitler e Mussolini” di Bruno Vespa, Mondadori, 2025.

    Andrea Rizzatello

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  • Francesco Di Bella  “Acqua Santa” –  Ed. Musicali La Canzonetta/La Canzonetta Records

    Francesco Di Bella  “Acqua Santa” –  Ed. Musicali La Canzonetta/La Canzonetta Records

     Partenope è Napoli. Nei suoi linguaggi, nei suoi colori, nelle gesta e dinamiche in chiaroscuro, tra mito e poesia, anime dannate e luce, eterna lotta tra amore e male. Dopo “O’Diavolo”, pubblicato nel 2018, il songwriter Francesco Di Bella giunge al suo quinto album da solista, in cui canta l’amore come atto politico, nelle sue sfaccettature, e come dialogo, intimista e di confronto, tra ombre e bagliori di luce. Il front man dei 24 Grana (freschi di celebrazioni per il trentennale di carriera artistica), spazia nella sua ricercatezza, la diffonde e irradia, affidandosi alla suadente voce di Alice, anima dei True Collected, per dar forma, anima e voce, tra riverberi quasi tribali, etnici, ed espressività popolare a un dialogo diretto, semplificativo, ma ammaliante. Ha il ritmo di un cantico la ballad al piano Menamme ‘e mmane: la fatica, la difficoltà, ritrovano armoniose la speranza. Piccolo gioiello è Canzoni, dove la scrittura si fa leggera, veritiera, ma a tratti anche cupa: è l’amore che avvisa, allerta, e vuole liberarsi dalla routine, elegantemente soffiato su note di una ballata, specchio ancora delle tante dinamiche dell’amore. La penna è poetica, ma eclettica: Di Bella, vera anima da cantautore, dipinge quasi da paesaggista Miez ‘a via, cuore che esce, va per strada, con la chitarra al collo, e ad agni angolo, tra arpeggi e giri delle sei corde, trova l’amore e lo descrive nel suo perenne misto di gelosia e amarezza. In questo fragore dipinto di amore ed enfasi lo spazio-sguardo è alto nell’atmosfera jazz di N’a ta Luna, mosso come onde del mare, virtuoso, ma anche creativo, idealista. Acqua Santa chiude il cerchio magico, in un elegante e soft pop cantautorale, basico, essenziale ma intenso, che guarda e stupisce, ammalia e coinvolge, disegna e illustra, mentre esprime note. La strada, firmata in questo progetto dai testi di Di Bella e le musiche di M. Giudici, è un percorso multiforme, all’interno delle mappe dell’amore, intenso come riscossa, rivolta, che scuote e vuole ribaltare, con passione, finanche la vita quotidiana.  Un lavoro di poesia diversificata, narrata, che si eleva anche nei toni dell’attesa, dello sconforto: otto storie, che si sviluppano nell’ambito della tortuosa dinamica delle relazioni.  Potrebbero essere aneddoti, immagini, ma anche luoghi. Lì solo l’abilità artistica ma ancor più la peculiarità artistica della lingua napoletana può osare e arrivare.

    Sergio Cimmino

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  • Zdenek Zeman, un boemo italiano

    Zdenek Zeman, un boemo italiano

    Zdenek Zeman, nato a Praga il 12 maggio del ’47. Figlio di un primario ospedaliero e di una  casalinga. Nipote da parte di madre di Čestmír Vycpálek allenatore della Juventus prima dell’era Trapattoni: è stato lui a trasmettergli la passione per il calcio. Nel ’68, all’epoca dell’invasione sovietica a Praga, si trasferisce in Italia dove, dopo aver acquisito la cittadinanza, si laurea all’Isef di Palermo. Qui comincia l’attività di docente di educazione fisica.

    Sempre a Palermo conosce sua moglie e inizia ad allenare.

    Insieme a Vinicio, Viciani e Sacchi Zeman è considerato uno degli importatori del calcio totale di Rinus Michels nel campionato italiano, anche se non completamente: il boemo, infatti, si è ispirato anche al calcio danubiano tipico della sua terra, la grande scuola dell’Est Europa.

    Diverse le sue esperienze e  passioni sportive prima dell’approdo al calcio: hockey su ghiaccio, pallavolo, pallacanestro, pallamano, nuoto e atletica.

    La consacrazione la trova sulla panchina del Foggia, che porta dalla serie B alla A. Il triennio 91-92, 92-93 e 93-94 è il più bello nella storia del Foggia in massima serie ma anche di tutta la storia del club pugliese, che arriva a sfiorare la qualificazione  in Coppa Uefa.

    Ciccio Baiano, Giuseppe Signori e Roberto Rambaudi il tridente dauno che esalta il modulo del tecnico boemo.

    In precedenza Zeman aveva portato il Licata dalla C2 alla C1.

    Dopo la prima esperienza foggiana allena la Lazio per tre stagioni: ottiene un secondo e un terzo post. Poi ancora Roma, ma con un cambio di sponda:  sulla panchina giallorossa due anni,  quarto e quinto posto.

    In Campania prima a Napoli dove viene esonerato dopo poche partite e una stagione e mezzo a Salerno.

    Diverse brevi esperienze in Turchia,  Svizzera e Serbia.

    Con il Pescara vince il campionato di serie B nella stagione 2011/12. Qui lancia Insigne, Immobile e Verratti.

    Alla fine degli anni ’90 Zeman diventa il grande accusatore del sistema calcio.

    Nel mirino ha soprattutto la Juventus, che accusa di usare prodotti dopanti. Diventa così il paladino della lotta al doping sportivo. Ma non senza pagare prezzi salati: sono le sue fortune in panchina a farne le spese.

    Nell’autunno 2009, interrogato circa il possibile coinvolgimento del Lecce nei fatti di Calciopoli, il boemo accusò Luciano Moggi di  averne minato la carriera: contestò nello specifico presunte manovre messe in atto dall’ex dirigente juventino allo scopo di provocarne l’esonero, precisamente ai tempi della Roma, del Napoli e della Salernitana dalle quali il tecnico era stato licenziato rispettivamente nel 1999, 2000 e 2002. A detta di Zeman, la fine sfortunata di quelle avventure sarebbe stata ascrivibile alle accuse da lui stesso sollevate contro il club torinese nel 1998. Ad Avellino invece a salvarlo dall’esonero fu l’antica amicizia col presidente Casillo.  

    Dal momento che Moggi, in risposta alle accuse di Zeman, ne mise in discussione le effettive capacità di gestire lo spogliatoio, e dichiarò che lì era da cercarsi la causa dei suoi vari esoneri, Zeman sporse una querela, ritenendo che l’affermazione costituisse atto diffamatorio nei propri confronti; la giustizia darà ragione all’ex dirigente bianconero nel novembre 2012.

    Attualmente il boemo si trova in terapia intensiva neurologica, dopo aver accusato un deficit di forza e problemi nel linguaggio, sintomi compatibili con un’ischemia cerebrale. Le condizioni sono stabili, ma resta sotto stretta osservazione.

    Già lo scorso ottobre, Zeman aveva avuto un attacco ischemico e sei mesi prima si era sottoposto a un’operazione al cuore con l’inserimento di quattro bypass.

    Stefano Marino

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  • Accordo Usa-Ucraina: cosa rivela l’interesse strategico per le terre rare

    Accordo Usa-Ucraina: cosa rivela l’interesse strategico per le terre rare

    Da una prospettiva di carattere generale, l’instabilità politica di un paese e dello scenario internazionale spinge tendenzialmente all’occupazione dei territori e all’approvvigionamento delle risorse.
    Questo è tanto più vero quando si viene al caso specifico dell’Ucraina, che in questi ultimi giorni è al centro del dibattito pubblico in relazione ai negoziati avviati su iniziativa americana per portare a un cessate il fuoco e all’eventuale conclusione del conflitto in corso. Uno dei nodi centrali delle trattative riguarda proprio le risorse e le materie prime ucraine, oggetto principale dell’attenzione del neopresidente Donald Trump.
    Un’attenzione rivolta alle cosiddette “terre rare” che è sintomo di un’attenzione particolare al territorio, secondo una dinamica che accresce la competizione politica fra le potenze coinvolte e che riversa i suoi effetti sullo scenario globale e internazionale.
    Se, infatti, diamo per scontata la forte rilevanza strategica e geopolitica che rivestono le risorse del sottosuolo di cui l’Ucraina è ricca, si evince facilmente come e perché gli Stati Uniti tentino in ogni modo di accaparrarsele al netto del rinnovato disimpegno americano nel mondo, a fronte di una Cina sempre più assertiva, di un’Europa in via di sgretolamento e di una Federazione Russa che, territorialmente parlando, ha visto negli anni la sua potenza continentale e la sua sicurezza
    erodersi sempre di più. In simile una logica competitiva, con un ordine internazionale sempre più precario, il discorso sulle “terre rare” assume una rilevanza multiforme: energetica e tecnologica, geopolitica e strategica in un’ottica securitaria, ma anche nel settore degli investimenti e della cooperazione.
    Nello specifico quando si parla di terre rare si fa riferimento a un gruppo di 17 elementi chimici che comprendono 15 lanthanidi più due elementi che sono scandio e ittrio, che si rivelano fondamentali per la produzione di dispositivi tecnologici avanziati come batterie ricaricabili, pannelli solari, ma anche per applicazioni militari come missili, radar e sistemi di comunicazione. La denominazione “rare” non fa tanto riferimento alla loro concentrazione quanto alla loro difficile estrazione. Molti di questi elementi sono infatti particolarmente dannosi per l’ambiente e pericolosi quando si tratta di manipolarli.
    Di seguito la rappresentazione di una scheda tecnica riguardante le terre rare, per comprenderne le basilari caratteristiche, i vantaggi e gli svantaggi della loro estrazione e la loro applicazione.

    Scheda tecnica: Terre rare

    1. Composizione e Nomi
       Lantanidi (15 elementi):
    2. Lantanio (La)
    3. Cerio (Ce)
    4. Praseodimio (Pr)
    5. Neodimio (Nd)
    6. Promezio (Pm)
    7. Samario (Sm)
    8. Europio (Eu)
    9. Gadolinio (Gd)
    10. Terbio (Tb)
    11. Disprosio (Dy)
    12. Olmio (Ho)
    13. Erbio (Er)
    14. Tulio (Tm)
    15. Itrio (Y)
    16. Lutezio (Lu)
       Altri 2 elementi:

    o Scandio (Sc)
    o Ittrio (Y)

    1. Proprietà chimiche e fisiche
       Alta reattività: La maggior parte delle terre rare reagisce facilmente con ossigeno e acqua.
       Conducibilità elettrica: Hanno ottime proprietà per la conduzione elettrica.
       Magnetismo: Molti di questi elementi sono utilizzati per produrre magneti permanenti ad alte
      prestazioni.
       Resistenza alle alte temperature: Alcuni elementi, come il neodimio e il samario, sono resistenti a temperature elevate e sono usati in applicazioni aerospaziali.
    2. Applicazioni
       Tecnologie di energia rinnovabile:
      o Pannelli solari.
      o Turbine eoliche.
      o Batterie per veicoli elettrici (come il litio-ione).
       Elettronica:
      o Schermi LCD.
      o Dispositivi ottici (fibra ottica, laser).
      o Batterie ricaricabili.
      o Hard disk e altre memorie.
       Applicazioni industriali:
      o Catalizzatori nelle raffinerie di petrolio (ad esempio, il cerio è usato nei catalizzatori).
      o Materiali per illuminazione a LED (ad esempio, l’europio).
       Difesa e tecnologia militare:
      o Missili, radar e altre apparecchiature di comunicazione avanzata.
      o Magneti per motori a bassa emissione di carbonio e tecnologie di armi ad alta precisione.
    3. Risorse e produzione
       Distribuzione geografica:
      o Cina è il principale produttore mondiale di terre rare, con circa l’80% della produzione globale.
      o Altri paesi con giacimenti significativi includono Australia, Russia, USA, e India.
       Estrazione:
      o Le terre rare vengono estratte principalmente da minerali come monazite e bastnasite, ma la loro estrazione è complessa e può essere dannosa per l’ambiente, a causa dell’uso di agenti chimici per separare i metalli.
    4. Vantaggi e svantaggi
      Vantaggi:
       Essenziali per la produzione di dispositivi tecnologici avanzati.
       Migliorano l’efficienza e le prestazioni in molte tecnologie.
      Svantaggi:
       La produzione è concentrata in poche regioni geografiche, creando rischi geopolitici.
       Le tecniche di estrazione sono dannose per l’ambiente (produzione di scarti radioattivi).
       La domanda crescente può portare a una scarsità di risorse.
    5. Innovazioni e ricerca
       Sono in corso ricerche per trovare sostituti delle terre rare in alcune applicazioni.

     Lo sviluppo di metodi di estrazione più ecologici e sostenibili è un obiettivo importante, poiché l’industria mineraria delle terre rare ha un impatto ambientale significativo.

    Secondo uno studio della Facoltà di Economia di Kiev, l’Ucraina controlla più di 100 importanti giacimenti di minerali essenziali, oltre a modeste riserve di petrolio e gas naturale. Il paese possiede inoltre depositi di 20 dei 50 minerali che l’US Geological Survey elenca come essenziali per lo sviluppo economico e la difesa degli Stati Uniti, tra cui titanio, litio, manganese, zirconio, grafite e le ambite terre rare.
    Nonostante al momento non siano state trovate riserve sfruttabili di terre rare in territorio ucraino, in ogni caso il paese è ricco di titanio (fondamentale per la produzione dei missili) e di altri giacimenti soprattutto nella regione del Donbass. Di fatti, come si evince dalla cartina che segue, la Russia controlla già il 33% delle riserve di minerali ucraini come il litio.

    Gaia Serena Ferrara

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  • Il parere di uno scrittore di genere: Daniele Fontani

    Il parere di uno scrittore di genere: Daniele Fontani

    Ho conosciuto Daniele Fontani grazie a un’antologia in cui io sono presente assieme a un suo racconto. È stato lui ad aggiungermi su Facebook, poi a scrivermi dopo che aveva posto una domanda tecnica per un testo di spionaggio, da cosa è nata cosa e mi sono incuriosito sulla sua attività di scrittore, fintanto da scoprire che ci incrociammo più di una volta ma senza averci dato retta reciprocamente. Lo prometto, riparerò, e nel frattempo l’ho intervistato.

    Modestia o arroganza, quale scegliere?


    Credo che raramente l’arroganza sia frutto di una scelta razionale, ma piuttosto un modo inconsapevole di essere, amplificato dalle ambizioni e dalla voglia di affermarsi. Anche la modestia, quando è artificiale o quando sminuisce i propri meriti, rischia di diventare un atteggiamento negativo. Tra modestia e arroganza, però, preferisco la terza alternativa: la via dell’umiltà, imparare a riconoscere i propri limiti e accettare che è sempre possibile lavorare per migliorarsi. Fatto questo, credo che poi venga naturale rapportarsi agli altri con sincera modestia, senza creare false aspettative, né cercare di sminuire gli altri.


    La tua finale Mondadori preferita (fra quelle in cui sei presente)?


    Più che alle finali in sé sono molto legato alle manifestazioni all’interno delle quali si svolgono i premi letterari. Ognuna mi ha dato qualcosa di unico: le persone conosciute, i consigli ricevuti dagli scrittori più bravi, le emozioni e gli attimi prima dell’annuncio del vincitore (che generalmente non sono io, ma questo non è fondamentale…). Quindi questa domanda mi mette un po’ in difficoltà, perché le metto tutte sullo stesso piano. Forse, dovendone scegliere una, direi il Mystfest del 2021, quando per la prima volta sono
    riuscito ad arrivare in finale nel circuito Mondadori e ho visto da vicino tantissimi scrittori che fino ad allora per me erano entità lontanissime, quasi divine. Poi c’è anche il Festival del Giallo di Napoli, dove nel 2023 ho vinto con il racconto La forca, e dove si respira un’atmosfera davvero unica. E che dire del NeRoma? Insomma, è davvero difficile scegliere.

    Secondo te ha senso scrivere (racconti, romanzi…) in Italia e in un’epoca in cui la gente si fa problemi a comporre una mail con nel corpo del testo solo: “Ciao, come va”?

    Secondo me ha senso scrivere fintanto che c’è la possibilità, anche remota, che ciò che si produce sia interessante per qualcuno. Come autori, dovremmo lavorare prima di tutto per costruire storie capaci di regalare emozioni ai lettori, qualunque esse siano. Quindi direi che finché ci sono lettori vale la pena scrivere, non ne faccio una questione di numero. Sul cosa scrivere, sono un po’ combattuto: da un lato assecondare la tendenza del pubblico può portare a una produzione di testi scontati, l’uno uguale all’altro,
    mentre disinteressarsi dei gusti e delle esigenze del lettore rischia di rendere la scrittura di nicchia, e questo mi spaventa molto perché abbiamo tutti bisogno di leggere. Io ho la fortuna di potermi occupare di narrativa di genere dove si può mescolare intrattenimento e temi di denuncia, e lo considero un ottimo compromesso per andare incontro alle esigenze di svago dei lettori pur mantenendo un significato più profondo al gesto stesso di leggere.

    Kenji Albani

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  • Marzo Magno: “Casanova chi? Un mito… ma per la posterità!”

    Marzo Magno: “Casanova chi? Un mito… ma per la posterità!”

    Sembra che siano due le figure alla base del trionfo del mondo borghese nella storia: la prima è quella del mercante che, a partire dal Basso Medioevo, si fa pioniere del risveglio culturale dell’Occidente con i suoi viaggi d’affari che sono al contempo anche viaggi di esplorazione e di scoperta. Grazie a lui, Paesi lontani con i loro meravigliosi manufatti e i sorprendenti tesori diventano molto meno lontani. Non si può, in effetti, concepire il navigatore-esploratore moderno se non si parte dal prototipo del mercante medievale: con mentalità mercantile egli vuole esportare messaggi di civiltà e importare valori di civiltà. Dopo il mercante c’è, a partire dal Seicento, l’avventuriero che, in sé, ha certamente anche qualcosa del primo, di cui può rappresentare una filiazione. L’avventuriero è socialmente un camaleonte, quasi vocato ad azzerare le distanze nella scala sociale: nella sua persona vuole concentrare quanto c’è di più popolare e di più aristocratico, di più colto e di più volgare, di più sacro e di più peccaminoso  e quindi, perché no, di più morale e di più immorale .La summa tra tutti questi opposti sta nella sua variegata esperienza di vita, che di volta in volta lo farà ritenere un saggio, uno scaltro, un arbitro di eleganza, un imbroglione, una carogna. Personaggio che anticipa le rivoluzioni o ne sposa in pieno l’atmosfera, l’avventuriero incarna il concetto dirompente che i tasti per direzionare l’ascensore sociale sono le capacità trasversali: dallo sport al gioco d’azzardo alla letteratura alla scienza alla politica alla cucina tutto serve a costruire la propria fortuna. E se poi si aggiunge che la fortuna è donna (e conquistarne una spesso è la chiave per assicurarsi ulteriori fortune), entriamo in pieno nell’argomento Casanova. Avventuriero paradigmatico o paradigma di avventuriero come lo abbiamo tratteggiato, veneziano come Marco Polo, paradigma del mercante nel modo in cui lo abbiamo inteso. Non è un caso. Nel tricentenario della nascita ne parliamo con Alessandro Marzo Magno, veneziano anch’egli, giornalista e scrittore, autore di una fortunata biografia casanoviana uscita di recente. S’intitola semplicemente Casanova: pubblicata da Laterza nel 2023, è andata in ristampa l’anno scorso.

    Dott. Marzo Magno, per la prima domanda mi ricollego a un’altra ricorrenza recente: il centenario della nascita di Marcello Mastroianni, che fu grande seduttore perché prima di tutto fu grande gentiluomo. Possiamo dire che Casanova fu un Mastroianni fuori dallo schermo e che la scelta più felice per il protagonista del film di Fellini sarebbe stata proprio quella dell’attore de La dolce vita?

    Sinceramente non so se il paragone regge. Casanova alla fine dei conti è un personaggio malinconico, un uomo che, guardandosi allo specchio, sente il fallimento di non esser potuto diventare quello che gli sarebbe piaciuto diventare: non nobile e – al contrario di Mastroianni, mi verrebbe da notare – non famoso: all’epoca in cui visse non era lui il Casanova più conosciuto. Più di lui infatti lo era il fratello Francesco, pittore di battaglie. Quando il nostro Giacomo venne presentato a Caterina II di Russia, la prima cosa che la zarina gli chiese fu: “Siete per caso il fratello di Francesco?”. Per quanto riguarda il film di Fellini l’ho visto a pezzi, ma mi pare che il regista sia riuscito a cogliere l’intimità del personaggio. È stato bravo.

    Scrittore memorialista, storico, librettista improvvisato, impresario teatrale improvvisato, redattore di memorie scientifiche, esperto di numeri e di cabala: a suo modo Casanova si può definire anche un intellettuale?

    Era provvisto di una preparazione che gli consentiva di spaziare in più campi (la sua variegata produzione letteraria ce lo dimostra): ci sapeva fare con le parole, sapeva studiare gli astri, aveva un’interessante competenza nelle scienze in generale e possedeva conoscenze mediche che lo rendevano capace di curare se stesso (si curò da solo una brutta ferita da arma da fuoco) e le altre persone. Sembra che i suoi segreti fossero due: igiene e dieta.  Sempre in campo medico era in grado, inoltre, di confezionare ricette.

    Come si può davvero definire la donna per Casanova?

    In effetti, anche se è passato alla storia come seduttore implacabile e impietoso, Casanova era lungi dall’avere una visione per così dire spietatamente “materialistica” dell’altro sesso, predatoria e magari esclusivamente venale. Spessissimo nelle sue memorie usa la parola “amore” e si confessa (e si professa) “innamorato” delle sue donne (che a loro volta lo riamano). Anche se non siamo ancora in epoca romantica, Casanova non era assolutamente immune da un coinvolgimento che andasse ben al di là del semplice piacere carnale: la donna più importante della sua vita, la misteriosa Henriette (in realtà Jeanne-Marie d’Albert de Saint-Hippolyte), è da lui stesso definita “il più grande romanzo” mai vissuto. Condito da una grande dose di umanità è poi il rapporto con la sua ultima amante, Francesca Bruschini, una ragazza del popolo quasi analfabeta: per lei Giacomo prova simpatia, affetto e… incredibile a dirsi (il carteggio non mente), addirittura gelosia!

    “E la sventurata rispose”: che dire dell’impresa degna dell’Egidio manzoniano, compromettere una donna che si era consacrata al Signore? Forse il colpo più audace mai messo a segno dal nostro amatore?

    No. Nel catalogo di quelle che con la nostra moralità – ma non col metro della sua epoca –  chiameremmo “sconcezze” di Casanova ci sono cose anche più eclatanti, inclusi rapporti sessuali con minorenni. Marina Morosini, la monaca da lui sedotta, è una grande, preziosa parentesi nella storia amatoria di Giacomo: bella, raffinata, di famiglia blasonata, era stata “parcheggiata” in monastero seguendo un destino comune a quello delle altre fanciulle “cadette”, quelle, cioè, a cui non era toccato in sorte di essere le figlie da maritare (anche alle famiglie più facoltose, infatti, era possibile predisporre la dote per una sola figlia). Dentro le mura del monastero, però, lei e le altre ragazze come lei erano libere di trasgredire le regole come più a loro piacesse. Addirittura potevano permettersi di frequentare i casini, appartamentini riservati che nobili e gentiluomini avevano a disposizione – o che a essi potevano essere messi a disposizione – per i loro svaghi: tra essi, naturalmente, c’erano anche le amanti segrete. I casini abbondavano intorno alla basilica di San Marco.  In particolare, la Morosini incontra Giacomo nel casino dell’ambasciatore de Bernis, che si trovava a Murano, e poi in quello che Giacomo affitta vicino a San Marco.

    L’avventuriero nel Settecento, chi era costui (ma dovremmo parlare anche dell’avventuriera, una figura che si profila quasi parallelamente)?

    Quando giunge al culmine delle sue fortune si può in un certo senso definire come una sorta di evoluzione moderna del menestrello e del giullare delle corti medievali: un fantasista – ma anche un parassita, nel senso più antico del termine – bravo a intrattenere e a far uscire dal tunnel della noia i grandi aristocratici sotto la cui ombra egli viveva e prosperava. Ma può godere di un’influenza e di un’autorevolezza anche maggiori, che possono addirittura fargli guadagnare spazi da consigliere. All’inizio del percorso c’è quasi sempre un’esperienza di vita molto frastagliata, fatta di tanti viaggi, di tanti tipi umani conosciuti, di studi iniziati e interrotti, di carriere intraprese e poi chiuse frettolosamente, di abilità imparate non oltre una soglia di competenza utile a cavarsela. E a spacciarsi come esperti: l’avventuriero è davvero un sublime maestro dell’impostura, e la sua grandezza sta nel saper farla fruttare a lungo a fino ai massimi livelli. La chiave del successo, va da sé, è una grande varietà di capacità acquisite al livello base, che arricchiscono la sua galleria di “travestimenti”.      

    Gamberi e maraschino di Zara: la pietanza e la bevanda preferite di Casanova?

    Casanova, come sappiamo dalle fonti, viene alla luce in un periodo in cui la madre (l’attriceMaria Giovanna “Zanetta” Farussi, ndr) ha una grande voglia di gamberi.  Potremmo dire quindi che la passione di Casanova per questo crostaceo ha, in un certo senso, qualcosa di “aborigeno”. Pensando al pesce più in generale, comunque, il nostro non disdegnava lo storione. Le ostriche invece tornavano utili per giochi di seduzione. E, restando nel campo dei cibi solidi, egli non manca di manifestare  a più riprese il suo debole per i maccheroni (gnocchi di farina, conditi con burro e parmigiano) e i  formaggi, in primis il mascarpone. Quanto al maraschino, confessa di apprezzarlo non poco, ma forse la sua vera passione sul fronte dei beveraggi è il punch, che amava prepararsi con le sue mani: usava acqua calda, rum, zucchero, arance oppure limoni. Ovviamente parliamo solo di alcuni dei cibi preferiti da Casanova, vero e proprio “buongustaio della vita”. 

    Casanova e gli amici: era il librettista Da Ponte quello del cuore?

    Uomo aperto alle relazioni amorose, il nostro Casanova, ma più in generale alle conoscenze sociali: un naturale attrattore di persone, in fondo. Se era pieno di donne, insomma, di certo non era povero di amici. Ma forse Da Ponte poteva essergli particolarmente congeniale (quel che è certo è che Da Ponte lo adorava): erano entrambi due impenitenti, e  si trovavano bene tra loro, il presbitero e Casanova. Si incrociarono a Vienna e poi a Praga: la loro fu una frequentazione lunga anche se non continuativa, fondata anche e soprattutto sullo scambio di idee e culminata nella collaborazione che Casanova diede a Da Ponte nella stesura del libretto del “Don Giovanni”, quasi un ideale alter ego del veneziano.

    In chiusura senti un po’ questa, caro Giacomo: tu che, tra le altre cose, eri anche un cabalista rifinito, ti divertirai pensando che nel 1798, quando ti spegnevi, un altro Giacomo vedea la luce, in quel di Recanati. E sarebbe stato tutto il contrario di te, come personalità. 

    Gianluca Vivacqua

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