Sembra che siano due le figure alla base del trionfo del mondo borghese nella storia: la prima è quella del mercante che, a partire dal Basso Medioevo, si fa pioniere del risveglio culturale dell’Occidente con i suoi viaggi d’affari che sono al contempo anche viaggi di esplorazione e di scoperta. Grazie a lui, Paesi lontani con i loro meravigliosi manufatti e i sorprendenti tesori diventano molto meno lontani. Non si può, in effetti, concepire il navigatore-esploratore moderno se non si parte dal prototipo del mercante medievale: con mentalità mercantile egli vuole esportare messaggi di civiltà e importare valori di civiltà. Dopo il mercante c’è, a partire dal Seicento, l’avventuriero che, in sé, ha certamente anche qualcosa del primo, di cui può rappresentare una filiazione. L’avventuriero è socialmente un camaleonte, quasi vocato ad azzerare le distanze nella scala sociale: nella sua persona vuole concentrare quanto c’è di più popolare e di più aristocratico, di più colto e di più volgare, di più sacro e di più peccaminoso e quindi, perché no, di più morale e di più immorale .La summa tra tutti questi opposti sta nella sua variegata esperienza di vita, che di volta in volta lo farà ritenere un saggio, uno scaltro, un arbitro di eleganza, un imbroglione, una carogna. Personaggio che anticipa le rivoluzioni o ne sposa in pieno l’atmosfera, l’avventuriero incarna il concetto dirompente che i tasti per direzionare l’ascensore sociale sono le capacità trasversali: dallo sport al gioco d’azzardo alla letteratura alla scienza alla politica alla cucina tutto serve a costruire la propria fortuna. E se poi si aggiunge che la fortuna è donna (e conquistarne una spesso è la chiave per assicurarsi ulteriori fortune), entriamo in pieno nell’argomento Casanova. Avventuriero paradigmatico o paradigma di avventuriero come lo abbiamo tratteggiato, veneziano come Marco Polo, paradigma del mercante nel modo in cui lo abbiamo inteso. Non è un caso. Nel tricentenario della nascita ne parliamo con Alessandro Marzo Magno, veneziano anch’egli, giornalista e scrittore, autore di una fortunata biografia casanoviana uscita di recente. S’intitola semplicemente Casanova: pubblicata da Laterza nel 2023, è andata in ristampa l’anno scorso.
Dott. Marzo Magno, per la prima domanda mi ricollego a un’altra ricorrenza recente: il centenario della nascita di Marcello Mastroianni, che fu grande seduttore perché prima di tutto fu grande gentiluomo. Possiamo dire che Casanova fu un Mastroianni fuori dallo schermo e che la scelta più felice per il protagonista del film di Fellini sarebbe stata proprio quella dell’attore de La dolce vita?
Sinceramente non so se il paragone regge. Casanova alla fine dei conti è un personaggio malinconico, un uomo che, guardandosi allo specchio, sente il fallimento di non esser potuto diventare quello che gli sarebbe piaciuto diventare: non nobile e – al contrario di Mastroianni, mi verrebbe da notare – non famoso: all’epoca in cui visse non era lui il Casanova più conosciuto. Più di lui infatti lo era il fratello Francesco, pittore di battaglie. Quando il nostro Giacomo venne presentato a Caterina II di Russia, la prima cosa che la zarina gli chiese fu: “Siete per caso il fratello di Francesco?”. Per quanto riguarda il film di Fellini l’ho visto a pezzi, ma mi pare che il regista sia riuscito a cogliere l’intimità del personaggio. È stato bravo.
Scrittore memorialista, storico, librettista improvvisato, impresario teatrale improvvisato, redattore di memorie scientifiche, esperto di numeri e di cabala: a suo modo Casanova si può definire anche un intellettuale?
Era provvisto di una preparazione che gli consentiva di spaziare in più campi (la sua variegata produzione letteraria ce lo dimostra): ci sapeva fare con le parole, sapeva studiare gli astri, aveva un’interessante competenza nelle scienze in generale e possedeva conoscenze mediche che lo rendevano capace di curare se stesso (si curò da solo una brutta ferita da arma da fuoco) e le altre persone. Sembra che i suoi segreti fossero due: igiene e dieta. Sempre in campo medico era in grado, inoltre, di confezionare ricette.
Come si può davvero definire la donna per Casanova?
In effetti, anche se è passato alla storia come seduttore implacabile e impietoso, Casanova era lungi dall’avere una visione per così dire spietatamente “materialistica” dell’altro sesso, predatoria e magari esclusivamente venale. Spessissimo nelle sue memorie usa la parola “amore” e si confessa (e si professa) “innamorato” delle sue donne (che a loro volta lo riamano). Anche se non siamo ancora in epoca romantica, Casanova non era assolutamente immune da un coinvolgimento che andasse ben al di là del semplice piacere carnale: la donna più importante della sua vita, la misteriosa Henriette (in realtà Jeanne-Marie d’Albert de Saint-Hippolyte), è da lui stesso definita “il più grande romanzo” mai vissuto. Condito da una grande dose di umanità è poi il rapporto con la sua ultima amante, Francesca Bruschini, una ragazza del popolo quasi analfabeta: per lei Giacomo prova simpatia, affetto e… incredibile a dirsi (il carteggio non mente), addirittura gelosia!
“E la sventurata rispose”: che dire dell’impresa degna dell’Egidio manzoniano, compromettere una donna che si era consacrata al Signore? Forse il colpo più audace mai messo a segno dal nostro amatore?
No. Nel catalogo di quelle che con la nostra moralità – ma non col metro della sua epoca – chiameremmo “sconcezze” di Casanova ci sono cose anche più eclatanti, inclusi rapporti sessuali con minorenni. Marina Morosini, la monaca da lui sedotta, è una grande, preziosa parentesi nella storia amatoria di Giacomo: bella, raffinata, di famiglia blasonata, era stata “parcheggiata” in monastero seguendo un destino comune a quello delle altre fanciulle “cadette”, quelle, cioè, a cui non era toccato in sorte di essere le figlie da maritare (anche alle famiglie più facoltose, infatti, era possibile predisporre la dote per una sola figlia). Dentro le mura del monastero, però, lei e le altre ragazze come lei erano libere di trasgredire le regole come più a loro piacesse. Addirittura potevano permettersi di frequentare i casini, appartamentini riservati che nobili e gentiluomini avevano a disposizione – o che a essi potevano essere messi a disposizione – per i loro svaghi: tra essi, naturalmente, c’erano anche le amanti segrete. I casini abbondavano intorno alla basilica di San Marco. In particolare, la Morosini incontra Giacomo nel casino dell’ambasciatore de Bernis, che si trovava a Murano, e poi in quello che Giacomo affitta vicino a San Marco.
L’avventuriero nel Settecento, chi era costui (ma dovremmo parlare anche dell’avventuriera, una figura che si profila quasi parallelamente)?
Quando giunge al culmine delle sue fortune si può in un certo senso definire come una sorta di evoluzione moderna del menestrello e del giullare delle corti medievali: un fantasista – ma anche un parassita, nel senso più antico del termine – bravo a intrattenere e a far uscire dal tunnel della noia i grandi aristocratici sotto la cui ombra egli viveva e prosperava. Ma può godere di un’influenza e di un’autorevolezza anche maggiori, che possono addirittura fargli guadagnare spazi da consigliere. All’inizio del percorso c’è quasi sempre un’esperienza di vita molto frastagliata, fatta di tanti viaggi, di tanti tipi umani conosciuti, di studi iniziati e interrotti, di carriere intraprese e poi chiuse frettolosamente, di abilità imparate non oltre una soglia di competenza utile a cavarsela. E a spacciarsi come esperti: l’avventuriero è davvero un sublime maestro dell’impostura, e la sua grandezza sta nel saper farla fruttare a lungo a fino ai massimi livelli. La chiave del successo, va da sé, è una grande varietà di capacità acquisite al livello base, che arricchiscono la sua galleria di “travestimenti”.
Gamberi e maraschino di Zara: la pietanza e la bevanda preferite di Casanova?
Casanova, come sappiamo dalle fonti, viene alla luce in un periodo in cui la madre (l’attriceMaria Giovanna “Zanetta” Farussi, ndr) ha una grande voglia di gamberi. Potremmo dire quindi che la passione di Casanova per questo crostaceo ha, in un certo senso, qualcosa di “aborigeno”. Pensando al pesce più in generale, comunque, il nostro non disdegnava lo storione. Le ostriche invece tornavano utili per giochi di seduzione. E, restando nel campo dei cibi solidi, egli non manca di manifestare a più riprese il suo debole per i maccheroni (gnocchi di farina, conditi con burro e parmigiano) e i formaggi, in primis il mascarpone. Quanto al maraschino, confessa di apprezzarlo non poco, ma forse la sua vera passione sul fronte dei beveraggi è il punch, che amava prepararsi con le sue mani: usava acqua calda, rum, zucchero, arance oppure limoni. Ovviamente parliamo solo di alcuni dei cibi preferiti da Casanova, vero e proprio “buongustaio della vita”.
Casanova e gli amici: era il librettista Da Ponte quello del cuore?
Uomo aperto alle relazioni amorose, il nostro Casanova, ma più in generale alle conoscenze sociali: un naturale attrattore di persone, in fondo. Se era pieno di donne, insomma, di certo non era povero di amici. Ma forse Da Ponte poteva essergli particolarmente congeniale (quel che è certo è che Da Ponte lo adorava): erano entrambi due impenitenti, e si trovavano bene tra loro, il presbitero e Casanova. Si incrociarono a Vienna e poi a Praga: la loro fu una frequentazione lunga anche se non continuativa, fondata anche e soprattutto sullo scambio di idee e culminata nella collaborazione che Casanova diede a Da Ponte nella stesura del libretto del “Don Giovanni”, quasi un ideale alter ego del veneziano.
In chiusura senti un po’ questa, caro Giacomo: tu che, tra le altre cose, eri anche un cabalista rifinito, ti divertirai pensando che nel 1798, quando ti spegnevi, un altro Giacomo vedea la luce, in quel di Recanati. E sarebbe stato tutto il contrario di te, come personalità.
Gianluca Vivacqua
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