27 luglio: l’esercito di Kiev rivendica l’attacco al ponte principale di Kherson, il ponte di Antonovsky. E lancia un messaggio alle forze occupanti: “Lascino al più presto la città”. Il ponte Antonovsky ha un’importanza cruciale per i russi, perché garantisce i collegamenti con la Crimea e inoltre lì essi hanno installato una postazione di difesa contraerea. Zelensky: dall’inizio della guerra morti 40.000 soldati russi. Raid missilistico russo del 25 luglio su su Chuhulv (oblast di Kharkiv): tre morti. Crisi energetica: Eni rende noto che il volume di gas consegnato oggi da Gazprom è inferiore di sette milioni di metri cubi rispetto a quello dei giorni scorsi.
28 luglio: missili russi su Chernihiv e Kiev. Intanto “avanza rapida”, secondo fonti dell’esercito kievita, la controffensiva ucraina a Kherson.
A sei anni dalla scomparsa del noto autore ed editor Alan D. Altieri il premio a lui dedicato continua a essere attivo. E alla quinta edizione il trofeo è tornato in Emilia-Romagna (finora sono tre i vincitori emiliano-romagnoli; completano l’albo d’oro un piemontese e un lombardo). Il Cappuccino ha incontrato Scarlett Phoenix, vincitrice dell’ultima edizione con il romanzo Red Reaper. Il gioco del diavolo, pubblicato in questo mese nella collana “Segretissimo” di Mondadori. Il volume presenta in appendice il racconto vincitore della prima edizione del Premio Stefano Di Marino, L’uomo sontuoso di Italo Bonera.
Scarlett, perché la scelta di questo pseudonimo?
Phoenix era un vecchio “nome di battaglia”. un nome con una storia, quella di una vecchia guerriera che ha combattuto incredibili avventure. Il nome ha una valenza importante, è quello che ti porti dietro anche quando la tua vita finisce e che, assieme alla reputazione, racconta agli altri ciò che eri. Allo stesso tempo un nome non è nulla, solo un biglietto da visita a caratteri dorati da presentare all’occasione. E questa, per me, è l’essenza del vero agente segreto.
Domenica 24 luglio: ultima tappa del Tour de France, la 21a. Con essa si conclude il più importante dei tre Grandi Giri, iniziato il 1° luglio. Il Tour, ideato da Henri Desgrange, si svolge annualmente lungo le strade francesi, e quest’anno è arrivato alla sua 109a edizione. Come da tradizione, prima della premiazione finale, i velocisti avranno l’occasione per conquistare l’ambito traguardo dei Campi Elisi.
Il percorso partirà dalla Defense Arena di Parigi per arrivare sui Campi Elisi. Ci sarà anche un gran premio della montagna programmato al chilometro 43 – in totale i km sono 115 – sulla Côté du Pavé de Gardes che anticipa l’ingresso del circuito con primo passaggio sul traguardo al chilometro 61.
Sui Campi Elisi sono favoriti i velocisti, in particolare Wout Van Aert. Con Jonas Vingegaard che potrebbe tirargli la volata. Da tener d’occhio anche Fabio Jakobsen, Dylan Groenewegen, Peter Sagan, Caleb Ewan e, per l’Italia, Alberto Dainese. Non parteciperà a questa tappa Woods, che non è stato risparmiato dal Covid-19. si tratta del 17° di questa edizione.
Si è spento esattamente un mese fa, il 26 di giugno, Raffaele La Capria, uno degli intellettuali più importanti del nostro Novecento. Era nato a Napoli nel 1922 – a ottobre avrebbe compiuto 100 anni – e di Napoli possedeva la genialità, l’ardore e la fantasia. A Napoli aveva studiato – si era laureato in Giurisprudenza all’Università Federico II – e vi aveva vissuto per molti anni della sua vita, ma si era poi trasferito a Roma, dove rimase fino alla morte. E tuttavia Napoli, come una presenza ineluttabile e ricorrente dalla quale non poté né volle mai scappare, tornò ripetutamente nella sua opera divenendo protagonista indiscussa dei suoi scritti più belli (Ferito a morte 1961, La neve del Vesuvio 1988, Capri e non più Capri 1991, L’occhio di Napoli 1994, Napolitan graffiti: come eravamo 1998). Giornalista, scrittore, sceneggiatore, ebbe un’attività letteraria che spaziò in molteplici ambiti, tutti indagati e percorsi con uguale passione, intelligenza e successo. Scrisse per il Corriere della Sera, firmò da co-sceneggiatore film immortali e bellissimi come Le mani sulla città (1963), Uomini contro (1970) e Cristo si è fermato ad Eboli (1979) di Francesco Rosi, Sabato, domenica e lunedì (1990) e Ferdinando e Carolina (1999) di Lina Wertmuller. E fu naturalmente autore di numerosi romanzi tra cui resta insuperato Ferito a morte (ed. Bompiani 1961) con cui vinse il Premio Strega. Ma i Premi furono numerosi. Vinse il Premio Napoli con L’armonia perduta (Ed. Mondadori 1986), una raccolta di saggi dedicati a Napoli; il Premio Grinzane Cavour con la raccolta di racconti La neve del Vesuvio (ed. Mondadori 1988); il Premio Viareggio con L’estro quotidiano (ed. Mondadori 2005), raccolta di racconti autobiografici. La sua intensa attività intellettuale gli valse il Premio Campiello (2001), il Premio Chiara (2002), il Premio Alabarda d’oro (2011) ed il Premio Brancati (2012) alla carriera. Fu anche un saggista eccellente, come si è visto – basti ricordare L’armonia perduta o America 1957, a sentimental journey (ed. Nottetempo 2009), ma anche l’ampia panoramica di scritti su alcuni mostri sacri della letteratura mondiale – ed un fine traduttore di Jean Paul Sartre, T. S. Eliot e George Orwell.
Non è arduo comprendere l’importanza di Peter Brook. L’opera del regista britannico riverbera a tutt’oggi nella prassi teatrale su ogni livello, dalla produzione istituzionale alle più remote propaggini dello sperimentalismo; l’autore del seminale Lo spazio vuoto è riuscito, con la sua radicalità, a scuotere dalle fondamenta la prassi scenica delle più blasonate istituzioni d’Occidente, contribuendone al rinnovamento.
All’eccezionale opera teatrale di Brook si affianca il parallelo percorso filmico. Per Brook il cinema è tutto fuorchè un’avventura occasionale o una funzione “di servizio”: spaziando nell’arco di cinque decadi, la filmografia del maestro di Org’hast e Mahabharatha liquida all’istante qualsiasi inveterato dibattito sul “teatro filmato”, nonché su quella presunta inconciliabilità fra teatro e cinema che i veri maestri sanno non sussistere affatto. Il cinema di Peter Brook è per molti versi un ulteriore stadio della ricerca condotta sulla scena: la ricerca di una crudeltà – nel senso artaudiano di vitalità incontenibile, folle e schizofrenica – in grado di elevare la tradizione ad archetipo ancestrale, racconto sanguigno di un tempo prima dell’uomo e della coscienza.
L’operazione rigenerativa dei classici inizia già coi colori sgargianti e il dinamismo di The Beggars’ Opera (1957), adattamento del classico di John Gay; con Moderato Cantabile (1960) Brook impone, con la presenza di Jeanne Moreau e Jean-Paul Belmondo, la propria presenza nel nuovo cinema che si andava affermando oltralpe. La deflagrazione avviene nel 1963 con Il Signore delle Mosche, nel quale il regista adatta il romanzo di Golding con indicibile furia estetica, tra semi-documentarismo e lancinante visionarietà: un viaggio allucinato nel cuore di tenebra della civiltà, condotto con lucidità e senza remore.
Il biennio rosso mostra due volti del Brook cineasta: da un lato il capolavoro Marat/Sade (1967), trasposizione da Peter Weiss con il Marchese (un eccezionale Patrick Magee) intento a inscenare la Rivoluzione nel manicomio di Charendon; dall’altro, il film a tesi Tell Me Lies (1968), invettiva sulla “sporca guerra” del Vietnam condotta con un’inventiva da far impallidire Godard.
Se nel mentire nascono bugie Allora non sò che dire Silenzio, pensa a tutto ciò che resta Voci nell’aria Musica senza danza Ma nell’esprimere un pensiero In una cosa son sincero Nelle parole non dette Che valgono molto e sono oneste Perché nella testa mi rimane Qualcuno di cui non voglio rinnegare
In un sabato ricco di finali per il volley italiano, si colora d’azzurro anche il cielo di Cerignola, dove le azzurrine di Mister Pieragnoli conquistano la medaglia d’oro agli European Volley Championship.
Nel tavoliere pugliese, tra Cerignola e Andria, si sono tenuti gli Europei di volley under21. Tra le nazioni partecipanti troviamo: Italia, Serbia, Turchia, Ucraina, Polonia, Austria, Danimarca e Israele. Dopo aver chiuso il girone al primo posto, battendo proprio la Serbia per 3-2, le azzurrine approdano in semifinale dove affrontano l’ostica Turchia. In quasi 2 ore e trenta di gioco, Monza e compagne portano a casa la vittoria al tie-break trascinate dal caloroso pubblico cerignolano.
Sangue, vicoli e madonne. Ogni lembo di strada nella città di Napoli è intriso di anima popolare.
Un dedalo di storie e culture, in cui sono incastonati religione e aneddoti. Donne, vita e morte.
Luci che rappresentano speranza e la via, preghiera e devozione. Dai bassi si canta l’amore ma anche morte. Pino Daniele, il lazzaro felice, cantava di un popolo trasversale, con il Volto Santo e la guerra tra le mani. Iconografie, foto e ricordi. Così Massiliano AmbrOsino dedica il suo controcanto alla Sirena, malata, vitale, affascinante dee sensuale. Fine cantautore realista, immortala la Napoli degli anni ’70 tra rincorse, grida e urla.
Negli ultimi tempi sembra impossibile per gli italiani avere un governo eletto dal popolo. Ebbene sì, al popolo italiano è stato negato questo onore. Ma in quanti realmente sentono il bisogno di schierarsi, di recarsi alle urne per eleggere un leader che possa realmente prendere a cuore il futuro di una generazione? Da un po’ di tempo pare che l’italiano sia disinteressato alla politica e che non abbia alcun riferimento partitico. Quel che manca, e che ci porta quasi a guardare con nostalgia il passato, è quella figura di spicco capace di riaccendere nuovamente l’amor di patria. Molti italiani hanno dichiarato di aver votato il meno peggio, ma nel Movimento Cinque Stelle, quel vento di novità capace di catturare i giovani, all’inizio avevano creduto davvero anche i più scettici: avevano creduto nel riscatto che parte dalla politica dell’antipolitica, al servizio esclusivo del cittadino. Ma adesso anche la speranza dei pentastellati sembra essersi eclissata, a dispetto delle aspettative di tanti che auspicavano un cambiamento radicale nei Palazzi del potere grazie a loro.